30 Aprile 2021
Il Quotidiano del Sud

Legge Zan, ascoltate le donne che chiedono modifiche

di Franca Fortunato


La legge Zan, dal nome del suo primo firmatario, il senatore Pd Alessandro Zan, nata con l’obiettivo di combattere le discriminazioni contro gay, lesbiche e transessuali, approvata alla Camera, sta per essere discussa nella Commissione Giustizia del Senato. Le donne, le femministe, da sempre unite contro omofobia e transfobia, sono state divise dall’introduzione di termini quali “genere” e “identità di genere” e di conseguenza tra chi chiede di approvarla così com’è e chi di cambiarla.

La legge, infatti, afferma di voler punire comportamenti discriminatori in base “al sesso, genere, orientamento sessuale e all’identità di genere”. Intorno al “genere” e all’ “identità di genere” c’è un dibattito teorico aperto tra le donne, sin dagli anni ’70. È a partire da allora che il termine “genere”, da grammaticale (femminile, maschile, neutro) e di specie (animale, vegetale, umana), è diventato un concetto neutro, indistinto, dove annega la differenza sessuale. È un errore aver voluto sostituire a quel dibattito il diritto, irrigidendo e cristallizzando quella che doveva restare una divisione teorica tra donne.

Il femminismo radicale, l’Udi, SeNonOraQuando, RadFem Italia, Arcilesbica, altri gruppi e singole, da mesi chiedono, inascoltate, di sostituire “genere” con “differenza sessuale” o “donne e uomini” e “identità di genere” con “transessualità”, diventando bersaglio di violenze, minacce di morte, aggressioni fisiche e verbali. Che cosa c’è di così importante da spingere alla violenza chi dice di voler difendere una legge che è contro la violenza? Che cosa c’è in gioco in quella che potrebbe ai più sembrare solo una questione nominalistica? Per noi donne c’è l’essenziale, il nostro essere incarnate in un corpo di donna, lo stesso della madre, che il femminismo della differenza ha liberato dalla cultura patriarcale ridefinendo il senso libero dell’essere donna in relazione con la madre e le altre donne, non prescindendo dal sesso con cui veniamo al mondo. La legge Zan elimina i corpi, le donne, definendo l’“identità di genere” come «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrisponde al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione» il che vuol dire ridurre l’essere donna al “sentirsi donna”, al “proclamarsi donna” a prescindere dal sesso di nascita, è l’autoidentità (self-id) divenuta l’obiettivo prioritario della legge. Questo spiega perché non si è scelta la strada di introdurre nel Codice penale aggravanti generiche per tutti i reati commessi sulla base dell’orientamento sessuale. Che la legge Zan cancelli le donne lo dimostrano alcuni esempi in Paesi dove esiste una legge simile: aberrazioni linguistiche come sostituire le madri con “persone che partoriscono”, comportamenti misogini come denunciare una donna, la norvegese Jenny Klienge, per aver detto che “le donne sono le sole che partoriscono”, azioni che spaventano le donne come in California dove 261 detenuti, dichiaratisi donne, hanno chiesto il trasferimento in carceri femminili.

La legge è sbagliata quando prevede il reato di misoginia, che nessuna donna ha mai chiesto, consapevole della sua valenza politica/culturale da affidare al cambio di civiltà, già in atto, nelle relazioni tra donne e uomini. Quanti uomini sono immuni dalla misoginia? La legge è retrograda quando cataloga le donne in quanto “sesso” tra i soggetti bisognosi di tutela e, poi, non c’è già una legge sulla violenza maschile sulle donne? Cambiatela e smettete di accusare le donne che lo chiedono di omofobia e transfobia.


(Il Quotidiano del Sud, 30 aprile 2021)

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