24 Giugno 2021
il manifesto

Librerie come spazi di libertà, da Gaza a Hong Kong

di Maria Teresa Carbone


Come saranno tra venti o trent’anni le librerie? Esisteranno ancora? Che aspetto avranno? Sono domande a cui non è facile rispondere, se pensiamo a quanto è cambiata negli ultimi decenni l’industria editoriale e in parallelo a come si è modificata la pratica della lettura. Ma intanto, nel nostro qui e ora, le librerie non solo sopravvivono, ma continuano a «svolgere un ruolo cruciale nel tessuto economico e sociale delle comunità»: è con questa motivazione che – riferisce Publishers’ Weekly – la statunitense Book Industry Charitable Foundation si prepara a distribuire più di un milione di dollari a 115 librerie indipendenti sparse in tutto il territorio degli Usa. L’iniziativa fa parte del programma Survive To Thrive il cui ideatore, John Ingram, afferma che «sostenere le librerie locali è un ottimo sistema per aiutare le comunità mentre si avviano a superare la crisi pandemica».

In tutt’altro contesto, ma partendo da presupposti analoghi, «donazioni di denaro e libri sono affluite da tutto il mondo per sostenere la ricostruzione di una delle più grandi librerie di Gaza, quella di Samir Mansour, distrutta a maggio dagli attacchi aerei israeliani», scrive sul Guardian Alison Flood. A lanciare la campagna di fundraising sono stati due avvocati specializzati nella difesa dei diritti civili, Clive Stafford Smith e Mahvish Rukhsana, convinti – dichiara Rukhsana – che «anche se le bombe sulla libreria non sono state la tragedia peggiore per Gaza, hanno inferto un attacco al sapere della comunità». E dato che prima della distruzione i frequentatori del negozio di Samir Mansour potevano rimanere tutto il tempo che volevano, bevendo tè e leggendo libri senza obbligo di acquisto, lo scopo della campagna non si limita a ridare vita alla libreria, ma punta ad affiancarle un centro culturale dotato di una biblioteca permanente.

Altrettanto fondamentale (se non di più) in questi stessi giorni è il ruolo delle librerie indipendenti di Hong Kong che, mentre il quotidiano Apple Daily è costretto a interrompere le pubblicazioni, cercano di dare spazio a una pluralità di voci. Alcune, per esempio, offrono a lettrici e lettori la possibilità di accostarsi a titoli ormai introvabili nelle biblioteche pubbliche. È il caso di Book Punch, nata nel 2020, all’indomani della promulgazione della legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino in reazione alle proteste antigovernative dell’anno precedente.

«Ho aperto la libreria – ha detto il fondatore, Pong Yat Ming, a Tiffany May del New York Times – perché non volevo che Hong Kong tacesse sotto la pressione… Il movimento ha cambiato il modo in cui le persone leggono e il valore che danno ai libri, e io vorrei che emergesse questa energia, questo desiderio di cambiamento attraverso la lettura».

Book Punch non è l’unica libreria della metropoli asiatica a cercare di percorrere la strada impervia della resistenza. Alcuni librai si propongono di mantenere un’offerta ampia, pur nei limiti della legalità: «Per quanto possibile, cercheremo di gestire la nostra libreria senza infrangere le regole. Quindi se il governo dice esplicitamente che certi titoli costituiscono un problema, ci adegueremo, ma continueremo nel nostro lavoro», dichiara Daniel Lee, gestore della libreria universitaria Hong Kong Reader, consapevole tuttavia che «si tratta di un compromesso». Altri, come Pong o come Sharon Chan, proprietaria della piccola Mount Zero, tengono posizioni più frontali e si azzardano a ospitare incontri con autori «politicamente controversi». «Penso che i clienti vedano la mia libreria come uno spazio dove si sentono al sicuro e trovano persone che la pensano come loro», dice Chan. Difficile sapere se e quanto questo durerà.


(il manifesto, 24 giugno 2021)

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