13 Maggio 2021
Il Quotidiano del Sud

Luana, la ragazza che sognava di diventare famosa

di Franca Fortunato


Due giorni dopo la festa del 1° Maggio Luana D’Orazio, la ragazza di ventidue anni che sognava di fare l’attrice e diventare famosa, se n’è andata nel modo più orrendo, inghiottita dal rullo di una macchina nella fabbrica tessile di Montemurlo (Prato) dove lavorava da due anni come apprendista. Una morte atroce che lascia senza parole. Resta il rumore assordante dei macchinari che ha impedito al suo collega che lavorava a pochi metri da lei di sentire un suo grido di aiuto, che forse non c’è stato – non lo sapremo mai – e non si è accorto di nulla. Questo mi fa pensare alla disumanizzazione della fabbrica, anche a conduzione familiare come quella dove lavorava Luana, dove tutti/e le volevano bene, compresa la titolare Luana Coppini.

È la disumanizzazione di un lavoro, quello della tessitura, antica arte femminile trasmessa per generazioni da donna a donna, nelle case o nei laboratori tessili come avviene ancora oggi in Calabria, dove il lavoro al telaio, l’ordito, la trama, il tessuto, tutto si intreccia con la vita, le relazioni, i sentimenti, i pensieri, le esperienze di donne che al piacere di stare insieme intrecciano con la conversazione, la condivisione di antichi saperi femminili. In quel luogo giovani apprendiste come Luana imparano sotto la guida sapiente della “magistra” e nessuna di loro potrebbe morire senza che le altre se ne accorgano. Una storia di donne che la fabbrica ha svilito, come ci racconta la tragica fine di Luana, morta in solitudine, risucchiata in una bara di ferro. Cosa più terribile della morte stessa.

Alcune operaie che lavorano allo stesso macchinario si sono dette soddisfatte del loro lavoro ma che c’è bisogno di “accortezza”, “attenzione”, “precauzione” perché «non c’è spazio per le distrazioni, per la stanchezza». Luana era stanca, si è distratta, non è stata attenta? Forse, ma resta il fatto che la macchina, come doveva, non si è fermata quando la ragazza è stata inghiottita dal rullo. Il sistema di sicurezza perché non ha funzionato? Forse le risposte le darà la magistratura ma intanto Luana non tornerà in vita, come le tante e tanti che giorno dopo giorno allungano la lista dei morti sul lavoro, come il ventitreenne Sabri Jaballah morto qualche mese prima di Luana, schiacciato da una pressa in un’altra fabbrica tessile di Montale (Pistoia).

Luana era una ragazza come tante altre, giovane, bella, libera, piena di sogni e desideri. A diciassette anni aveva lasciato la scuola perché incinta. Il padre del bambino l’aveva conosciuto durante una vacanza in Calabria, regione di origine della madre. Alla nascita – come ha raccontato la madre ai giornali – lui aveva voluto che si chiamasse Donatello, come suo padre, noto per i legami con la ’ndrangheta. Poi se n’è tornato in Calabria e non si è più occupato del piccolo tanto che il tribunale ha deciso il solo affido a Luana, che l’ha battezzato Alessio e cresciuto col sostegno della madre, Emilia, e del padre, Francesco. Aveva una vita davanti, sognava di fare l’attrice, di diventare famosa ma «certo mai avrebbe immaginato di diventare famosa morendo sul posto di lavoro». Ogni mattina, come tante altre operaie come lei, si alzava alle cinque, anche in questi mesi di pandemia durante i quali come molte altre piccole fabbriche anche la sua non ha mai chiuso, e sulla sua utilitaria raggiungeva il posto di lavoro dove andava per poter vivere e far vivere il suo bambino, non certo per morire. Il suo volto sorridente resterà per sempre sui muri di Roma grazie alla mano dell’artista napoletano di street art Jorit.


(Il Quotidiano del Sud, 13 maggio 2021)

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