6 Maggio 2022
La Stampa

Lucetta Scaraffia: “Io dico ‘utero in affitto’ perché trasforma il bambino in un prodotto che si fabbrica”

di Lucetta Scaraffia


Nel corso del dibattito che si sta svolgendo su questo giornale sulla possibilità di avere un figlio attraverso il ricorso all’utero in affitto è tornata più volte, da parte dei sostenitori o meglio sostenitrici di tale pratica, una accusa: chi è contrario la definisce utero in affitto, mentre dovrebbe dire «gestazione per altri» che diventa l’acronimo GPA.

Il motivo di tale accusa è evidente: la parola affitto richiama l’aspetto venale – le madri surrogate vengono sempre pagate – mentre la dizione «per altri» maschera l’operazione come un atto altruistico. Che il conflitto su questo tema sia anche una battaglia linguistica lo spiega uno dei saggi contenuti nel libro uscito in Francia Les marchés de la maternité, opera di femministe di sinistra contrarie alla GPA, fra cui la più nota senza dubbio è Sylviane Agacinski che ha già scritto molto sul tema. Il termine gestazione poi viene sostituito a gravidanza, che pure non cambierebbe l’acronimo, perché è meno legato all’essere umano, e quindi agli aspetti affettivi, come conferma anche il fatto che in tutto il discorso il nome madre tende a scomparire.

Gravidanza, maternità, diventano così parole obsolete, sostituite da termini generali che cancellino il vecchio modo di pensare. «Per altri» è legato al dono e alla gratuità, anche se si tratta di una transazione commerciale fra acquirenti e commercianti, che eseguono un contratto nel quale sono negoziati l’acquisto e la vendita di un bambino e l’affitto dell’utero di una donna. La sigla GPA suggerisce quindi una negazione, cioè la negazione di una gravidanza pagata che cerca di divenire negazione della gravidanza stessa, divenuta gestazione, un fatto solo biologico, come per gli animali. Ma in fondo nega anche la biologia, cioè il fatto che la madre e il feto sono così legati che le cellule del feto si mescolano a quelle della madre e restano per almeno 27 anni dopo la nascita. E soprattutto nega il fatto che la madre surrogata, durante la gravidanza, deve staccarsi dal suo corpo e dalle sue sensazioni profonde per prepararsi alla separazione dal figlio, deve negare i legami che sta tessendo con il bambino.

La manipolazione della filiazione comincia quindi da una manipolazione del linguaggio. La negazione di un principio giuridico basilare – «la madre è quella che partorisce» – stabilisce infatti che la filiazione può venir stabilita per convenzione, attraverso un contratto. Ma il contratto è possibile? Una persona non ha un corpo, è un corpo, fatto insieme di materia e di spirito, non può quindi né venderlo né affittarlo, a meno di tornare alla schiavitù. I diritti dell’uomo sanciscono infatti l’indisponibilità del corpo umano. Così un bambino, un nuovo essere umano, non può essere venduto né ceduto, quale che sia il materiale biologico con il quale è stato concepito. In caso di GPA invece entrambi diventano oggetto di vendita e di profitto. La GPA fa del bambino un prodotto che si comanda, si fabbrica e si consegna. Si tratta, afferma con chiarezza Agacinski di una «appropriazione mercantile della fecondità femminile». Concetto ribadito dalla più apprezzata delle femministe italiane, Luisa Muraro.

Nella nostra società in cui nascono pochi bambini la gravidanza è ipervalorizzata, e lo resta anche nel caso di utero in affitto – descritto come dono unico a una coppia che non può averne – grazie all’altruismo sbandierato dalle madri portatrici che maschera l’aspetto mercantile dell’operazione.

Queste donne, che per 25.000/30.000 dollari accettano rischi medici che possono anche portarle alla morte, sanno che l’altruismo esibito è necessario sia per mantenere la stima di se stesse che per raccogliere la stima sociale. Sanno che socialmente è insostenibile vendere una gravidanza e un bambino. Si tratta di una retorica che per di più nasconde un evidente sfruttamento: le somme che ricevono le madri in affitto sono una minima parte di quello che pagano i committenti, cioè, negli Stati Uniti – dove forse lo sfruttamento è meno grave – una somma che va da 100.000 a 150.000 dollari. L’esibizione di altruismo serve solo a legittimare tali pratiche. I soldi sono il motore della GPA, ma le donne non si vendono, piuttosto sono vendute a caro prezzo e sfruttate finanziariamente.

Il desiderio di figlio di coppie abbienti diventa così un’arma di sottomissione delle persone più deboli – donne e bambini – e di degradazione dell’essere umano. A chi non sa riconoscere il limite del suo desiderio la legge, ricorda Simone Weil, deve saper opporre la proibizione.


(La Stampa, 6 maggio 2022)

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