17 Gennaio 2019
La Stampa

«L’uso del corpo femminile è ancora un atto politico: esiste anche il porno etico»

di Tiziana Platzer

La videomaker Slavina ospite del festival di cinema erotico Fish & Chips che si apre oggi

C’è un’attenzione precisa alla ricerca di temi che muovono le libertà sessuali delle comunità minori e quelle che coinvolgono il mondo globale: il quarto «Fish & Chips Film Festival», la rassegna di cinema erotico che inaugura alle 21 al Massimo e prosegue sino a domenica 20 con 50 film in concorso, affronta l’eco-sessualità e il piacere femminile. In apertura il film Orso d’Oro all’ultima Berlinale «Touch me not» della regista rumena Adina Pintilie: è lo scardinare degli schemi per amarsi liberamente. Sulla strada del cinema erotico e non pornografia selvaggia: Slavina, nome d’arte di Silvia Corti, videomaker, autrice e pornografa femminista, interverrà all’incontro su «L’evoluzione del porno» il 18 alle 14,30 allo Spacemore (via Bogino 9) con Davide Ferrario e condurrà il «Pranzo psicoerotico» il 20 alle 12,30 al Blah Blah (via Po 21).

Lei perché decide di lavorare nel porno?

«Era il 2005 e mi ero appena trasferita a Barcellona. Ero una migrante trentenne in cerca di lavoro e la prima opportunità fu il doppiaggio di porno. Da qui, aiuto regia e assicuro che su quei set ho visto cose non raccontabili, come gira ancora oggi l’industria del porno peggiore: cataloghi di performer accoppiati a caso».

Lei è una porno attivista: si può parlare di porno etico e artistico?

«Certo, si incrocia con il mondo dell’arte e i film non sono più solo luce fioca e amplessi, però lo si trova sui siti privati: la più importante produttrice in Europa è Erika Lust. L’art porn fa comunque vedere ciò che è osceno secondo i criteri comuni, pur con tutte le immagini di sesso che attraversano qualunque genere cinematografico. Altro è la pornografia becera e gratuita sul web».

Da cui è stato lontano il collettivo «Le ragazze del porno», di cui lei ha fatto parte.

«Abbiamo prodotto due cortometraggi, ne avevamo in progetto 11 ma ci siamo sciolte prima, l’anno scorso a Roma. Il problema è naturalmente trovare gli sponsor».

Come lavora il porno etico?

«Ci sono tentativi di ingressi nei musei e ci sono case di produzione con un cinema di livello, oltre alla Lust, come la statunitense Pink and White Production, un mito del new porn, e la raffinata inglese Four Chambers. Il porno eccita per definizione, nostro malgrado».

E che sessualità ne deriva?

«La sessualità è tutto fuorché naturale, dipende da quello che hai visto e elaborato. La pornografia è vista solo come ambito morboso, malato, ma non è così».

L’uso del corpo femminile è ancora un atto politico?

«Ne sono convinta. Continua a essere un elemento di conflitto, mi vengono in mente le donne in Argentina scese in piazza nude per il diritto ad abortire: il corpo femminile nudo irrita il maschilismo peggiore. Le Femen fanno politica, per quanto con posizioni discutibili».

I performer sono più rispettati su un set pornografico?

«Possono scegliere le azioni e soprattutto i compagni di lavoro: è di solito un ambito di consenso costruito, anche se è sempre meglio avere la “parola di sicurezza”, per fermarsi».

Il porno post moderno conta di vincere la censura?

«Noi scommettiamo per un porno pubblico e condiviso, ma è un obiettivo lontano».

 

(La Stampa, 17 gennaio 2019)

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