30 Maggio 2025
Domani

Madri detenute e reati d’opinione. Il dl sicurezza peggio del codice Rocco

di Anita Fallani


«Nel decreto sicurezza voluto dal governo Meloni vengono introdotte delle nuove norme che sono riuscite a superare anche la fantasia repressiva del codice penale fascista, il cosiddetto codice Rocco». Così dice Emilia Rossi, avvocata ed ex Garante nazionale dei diritti dei detenuti. La Camera ha approvato con 163 sì, 91 no e un astenuto. Ora il provvedimento passa all’esame del Senato per essere convertito in legge entro il 10 giugno.

«Il decreto sicurezza è un’ipertrofia del populismo penale che il governo ha dimostrato fin dal suo insediamento. Alla trentina di nuovi reati creati dal governo dal 2022, adesso se ne aggiungono altri 14 che non si erano visti neanche sotto il regime. A rendere il tutto ancora più preoccupante è il fatto che gli articoli sono scritti malissimo, anche gli esperti della materia come me fanno fatica a capirci qualcosa. E questa voluta confusione è funzionale alla discrezionalità dell’applicazione della legge che è, a sua volta, un tratto repressivo della norma. Quando la norma non è chiara, non è chiaro nemmeno quale comportamento viene perseguito» spiega l’avvocata Emilia Rossi.

Secondo i giuristi che hanno parlato con Domani, sono diversi gli articoli presenti nel Decreto Sicurezza che per il loro carattere repressivo superano il Codice penale Rocco voluto dal regime fascista.

I neonati in carcere

«Fino ad ora una donna incinta o con un figlio piccolo aveva il rinvio obbligatorio della pena. Significa che lo Stato ti permetteva di partorire, vivere con tuo figlio per i primi anni della sua vita e poi scontare la pena in carcere» ha spiegato la ricercatrice di filosofia del diritto Perla Allegri e attivista nell’associazione Antigone che si occupa dei diritti dei detenuti «adesso invece il rinvio della pena non è più obbligatorio ma facoltativo. Il magistrato che ha in carica il caso può scegliere se rinviare la pena o meno. E, questa scelta, la deve valutare in base alla possibilità di recidiva. Ora, capite che è difficilissimo sapere in anticipo se quella persona commetterà di nuovo quel reato e quindi i magistrati, probabilmente, si baseranno sugli studi in materia che dicono che sono le persone indigenti che hanno commesso reati contro il patrimonio, come i furti, ad avere più probabilità di commettere di nuovo lo stesso reato perché è di quello che vivono».

Le madri detenute e i loro neonati finiranno negli ICAM, gli istituti di custodia attenuata, non perché sono socialmente pericolose ma perché potrebbero (forse) compiere nuovi reati una volta uscite di lì. Questa modifica della norma è stata voluta dalla Lega che l’ha ribattezzata “norma anti-rom” perché i suoi esponenti credono che le donne rom facciano strumentalmente dei figli per evitare la pena.

Inoltre, il decreto sicurezza introduce per la prima volta la possibilità che il bambino venga sottratto alla madre perché la donna può essere trasferita in chiave punitiva in un carcere ordinario senza il bambino quando la sua condotta viene considerata “inadeguata”. Inoltre, come scrive il XXI rapporto sulle condizioni di detenzioni appena pubblicato da Antigone sorprende anche che si parli di “condotte pericolose realizzate da detenuti in istituti a custodia attenuata per detenute madri” declinando al maschile il sostantivo quando gli Icam ospitano solo donne. Il codice Rocco voluto dal fascismo non permetteva alle donne incinta e ai bambini di stare in carcere.

Il reato di resistenza passiva

«È la prima volta che compare in un codice penale adottato dal nostro paese il termine resistenza passiva. Mai prima di questo momento, nemmeno sotto il fascismo erano considerate reato le manifestazioni non violente» ha commentato il magistrato Livio Pepino.

Si tratta di un reato che si rivolge alle persone detenute nei carceri e nei CPR, la pena prevista arriva fino ad 8 anni per i promotori. «I detenuti fanno una enorme fatica a manifestare i loro bisogni perché non sono ascoltati da nessuno. Un educatore ha in media 70 detenuti, lo psicologo segue 100 persone e ha solo 7 ore a settimana. Così, capita che i detenuti organizzino delle manifestazioni non violente per farsi vedere e sentire. Le più frequenti sono la battitura del pentolame, stare in piedi sulla soglia della cella e rifiutarsi di entrare, non mangiare, non lavarsi. È il loro modo per manifestare un disagio. Da ora in poi, se almeno tre persone si rifiutano di obbedire all’ordine di un agente con modalità non violente rischiano fino a 5 anni, 8 per i promotori. Tra l’altro nel decreto si parla di “ordine impartito dal personale penitenziario”. Non c’è neanche specificato se quell’ordine debba essere legittimo oppure si riferisca a qualsiasi tipo di richiesta impartita dalle guardie» ha spiegato la ricercatrice Allegri. Per Antigone il reato di resistenza passiva è il più grave attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana italiana.

Il rinnovato reato di opinione

«Il codice Rocco ha introdotto i reati di opinione perché era interesse del regime censurare la libera espressione del pensiero. Naturalmente con l’avvento dell’era repubblicana si era molto discusso sulla permanenza dei reati di opinione nel nostro codice, alla fine alcuni sono stati espunti e altri semplicemente disapplicati.»

«È dal ’91 che non si accusa qualcuno di reato di opinione ma con il decreto sicurezza hanno deciso di farlo risorgere dalle ceneri» ha spiegato l’avvocata Emilia Rossi. «Il decreto sicurezza torna a parlare dell’articolo 415 che punisce chi istiga alla disobbedienza delle leggi.»

«Tecnicamente, potrebbe essere accusato di questo reato chi organizza forme di boicottaggio, ad esempio. Come dicevo, sono decenni che nessuno viene accusato di questo reato ed è significativo che un decreto simile torni a parlarne. Ma ancora più grave è la modifica che viene fatta all’articolo 415: è stato aggiunto un secondo comma che prevede un’aggravante per chi istiga la disobbedienza delle leggi tramite comunicazione diretta o scritta all’interno dei penitenziari» ha commentato l’ex Garante nazionale dei diritti dei detenuti.

«Per come è scritto il comma anche il mio intervento in questo articolo potrebbe essere accusato di istigazione alla disobbedienza delle leggi, così come una volontaria che scrive alle detenute cosa è da intendersi per resistenza passiva. Perché? Perché è tutto discrezionale. Una cosa del genere nemmeno il codice fascista la prevedeva» ha concluso Rossi.

La licenza delle armi

«La legislazione fascista non consentiva agli operatori di polizia di girare armati con un’arma non di ordinanza al di fuori dell’orario di servizio. Adesso, con il decreto sicurezza, un poliziotto in borghese può farlo» ha spiegato il magistrato Livio Pepino. «Durante il fascismo lo Stato non erogava dei soldi ai poliziotti accusati di reati commessi durante il servizio. Adesso si prevedono fino a 30.000 euro per coprire le spese legali. Non è prevista per nessun’altra figura, solo per i poliziotti. È vero, durante il fascismo non si svolgevano quasi mai i processi contro l’arma ma è significativo che il governo attuale voglia sostenere le forze di polizia e nessun altro tipo di cittadino, soprattutto chi sente di aver subito un torto da una persona in divisa» ha concluso il magistrato.

La norma prevede che «chiunque, all’interno di un istituto penitenziario, partecipa a una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, commessi da tre o più persone riunite, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Ai fini del periodo precedente, costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva che, avuto riguardo al numero delle persone coinvolte e al contesto in cui operano i pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio, impediscono il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza».

In sintesi, se tre persone detenute che condividono la stessa cella sovraffollata o un istituto in condizioni detentive non dignitose, si rifiutano di obbedire all’ordine di un agente, anche con modalità non violente, si configurerà il delitto di rivolta con una possibile condanna da due a otto anni di reclusione (per i promotori, organizzatori o dirigenti), e da uno a cinque per i partecipanti.


(Domani, 30 maggio 2025)

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