13 Giugno 2022
la Repubblica

Marisa Malagoli Togliatti: “La mia vita con Nilde Iotti tenera e rivoluzionaria”

di Simonetta Fiori


“Tutto cominciò da un biglietto di Togliatti fatto scivolare nelle mani della sua compagna Nilde Iotti: “Se adottassimo uno dei bambini di queste famiglie?”. Siamo nel gennaio del 1950, a Modena, durante i funerali dei sei operai uccisi dalla polizia davanti allo stabilimento Orsi. Tra le vittime c’è un ragazzo poco più che ventenne, Arturo Malagoli, figlio d’una famiglia povera di mezzadri, undici tra bambini e ragazzi concentrati in pochi metri quadrati. Due mesi dopo, la sorellina più piccola Marisa si sarebbe trasferita a Roma, nella casa piena di libri del segretario comunista.

Oggi Marisa Malagoli Togliatti è un’affermata neuropsichiatra. Probabilmente la scelta della psichiatria ha a che fare con la sua storia, felice e complicata. Alle spalle, nella casa-studio del quartiere Trieste, c’è una fotografia di lei adolescente con il Migliore. “Lei vede una somiglianza? Me l’hanno sempre detto, soprattutto per il colore degli occhi”. Si toglie gli occhiali ed è l’unico gesto di vanità nel corso della conversazione. Per trovare le immagini con la “madre” fruga a lungo nel cellulare. Eccone una dove sono entrambe sorridenti, Marisa è cresciuta, Nilde allunga sulla schiena della ragazza il suo braccio protettivo. Ora che la Sapienza dedica alla madre costituente un convegno e una grande mostra, la figlia racconta una paladina dei diritti delle donne nel suo lato più privato.

Il primo ricordo di Nilde quando venne a prenderla a Nonantola? Lei aveva solo sei anni.

Dopo i funerali di mio fratello, venne a casa più volte. Era poco più grande delle mie sorelle, che spingevano perché io andassi a studiare a Roma: per loro era stato un sacrificio fermarsi dopo la quinta elementare. Nilde non aveva compiuto ancora 30 anni. Togliatti con i suoi 57 anni era quasi un nonno.

Quindi l’ha percepita più come una sorella?

Sì, una giovane donna della stessa età di mio fratello Giuseppe.

Nilde Iotti avrebbe detto: “Non c’era una vera madre, non c’era un vero padre, non c’era una vera figlia. Eppure eravamo una vera famiglia”. Che cosa la rendeva tale?

Era una grande famiglia allargata, che presto avrebbe incluso anche le mie sorelle e le cugine zitelle di Nilde. Eravamo uniti dal rispetto reciproco, dalla fiducia, dall’intimità della vita quotidiana. Io ero una bambina molto allegra e questo ha facilitato il compito genitoriale. Ricordo una frase sfuggita un giorno a Togliatti: “Non è un gioco”. Credo intendesse dire che il compito di genitore – educatore era una cosa molto seria.

Una volta lei ha detto che a unirvi era il comune passato difficile.

Questo vale soprattutto per Nilde. Venivo da una famiglia molto povera. E lei aveva perso il padre da giovane, costretta a vivere insieme alla madre della sua sola pensione. Sapevamo entrambe che cosa significa il sacrificio.

Non l’ha mai chiamata “mamma”, ma “zia Nilde”. Perché?

È stata una loro scelta, in segno di rispetto per i miei genitori. Quando me lo proposero, mi apparve la soluzione più naturale. E in fondo mi semplificavano la vita: io avevo già un padre e una madre.

Ma lei intimamente la percepiva come una madre o come una zia?

Forse più come una zia. Anche negli abbracci era molto rispettosa. Tra noi c’era più empatia che intimità. Zia Nilde ha rappresentato un grande sostegno morale, durato tutta la vita. E in forme diverse. Ad esempio, nella mia iniziazione politica: durante l’occupazione dell’Università nel 1966 era lei che mi passava il thermos con i panini da un ingresso laterale. E quando ero di turno come giovane psichiatra a Terni, era sempre lei che mi portava i miei bambini per festeggiare il Natale tutti insieme.

A uno sguardo superficiale poteva apparire fredda.

No, per niente. In famiglia era molto tenera. Aveva imparato in pubblico a trattenere emotività e rabbia. La sua storia sentimentale con Togliatti – formalmente sposato con Rita Montagnana – l’aveva esposta ad attacchi feroci anche da parte del suo stesso partito.

Dal carteggio amoroso viene fuori il temperamento passionale di entrambi.

Benedetto Croce aveva definito Togliatti un totus politicus: niente di più sbagliato! Era capace di custodire il suo privato e di alimentarlo con molto sentimento. Lei gli aveva dato quella stabilità affettiva che la Montagnana – da pasionaria impegnata a fare la rivoluzione – non gli aveva potuto dare. E lui ricambiava con molto amore e anche con ironia. Era una relazione giocosa, che non escludeva le poesie in rima: “Fa i discorsi Nilde Iotti ma sa far meglio i risotti”.

Non proprio un campione di femminismo…

Ma era un gioco! Ricordo ancora la favolosa paella alla valenciana che preparava per Dolores Ibarruri. Anche in questo lavoro apparentemente manuale metteva quella grande cura per i particolari che le ha permesso di realizzare progetti importanti.

È stata una pioniera dei diritti delle donne.

Uno dei suoi capolavori fu la Riforma del diritto di famiglia nel 1975. E se non ci fosse stata Nilde, la battaglia del Pci per la legge sul divorzio sarebbe stata meno convinta. Aveva avuto un ruolo importante anche nella stesura della Carta Costituzionale: gli articoli 29, 30, 31 e 51 portano traccia della sua visione della famiglia democratica, con l’eguaglianza tra coniugi.

In famiglia c’era parità?

Sì. Nei week-end lei spesso tornava nel suo collegio di Reggio Emilia e Togliatti si prendeva cura di me: lunghissime passeggiate dalle parti dei Castelli Romani, anche qui tra giochi e divertimenti.

In quel carteggio sentimentale Nilde Iotti espresse anche il desiderio di maternità.

Nilde era rimasta incinta dopo l’attentato subito da Togliatti nel luglio del 1948. Ma una grave forma di diabete non le permise di portare avanti la gravidanza. Immagino sia stata una decisione dolorosissima.

Togliatti si adoperò per ottenere l’annullamento del suo matrimonio a San Marino. Poi vi rinunciò perché analogo tentativo di Longo aveva creato scandalo. Per Nilde Iotti fu un problema non diventare la signora Togliatti?

Il momento per lei più difficile fu quando Togliatti era ricoverato in fin di vita al Policlinico dopo l’attentato: le impedivano di accedere al capezzale perché non era la moglie.

Da qui anche la determinazione a favore del divorzio.

Sì, interveniva la sua storia personale. Ma c’era anche il suo sguardo aperto sul mondo: si confrontava con me e i miei amici, la generazione del Sessantotto.

C’era tra voi complicità? Parlavate dei vostri corpi?

Lei aveva il cruccio di essere stata una ragazza un po’ grossa. Per problemi di salute, perse molti chili poco prima di diventare la prima donna presidente della Camera. Il dimagrimento le permise di indossare vestiti non di grandi sarti ma certo femminili. La cosa non le dispiacque per niente.

Oggi a 78 anni che cosa ha capito di Nilde Iotti che prima le sfuggiva?

Avrebbe tenuto a essere eletta presidente della Repubblica. Se ne parlò alla fine del suo mandato alla Camera: noi eravamo preoccupati, ma lei in fondo lo considerava il compimento del suo percorso.

C’è una domanda che avrebbe voluto farle e non le ha mai fatto?

Le avrei voluto chiedere perché dopo la morte dei miei genitori non mi ha adottato. Forse l’ha evitato per rispetto del suo compagno. Io avevo già il cognome Togliatti. E per riservatezza non ha voluto impormi il suo.


(la Repubblica, 13 giugno 2022)

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