2 Marzo 2021
il manifesto

Maschi contro la violenza di noi maschi

di Alberto Leiss


Sempre più spesso la violenza che gli uomini esercitano sulle donne riempie le pagine dei giornali, i notiziari tv e on line, i social. Succede per la particolare efferatezza di un femminicidio, come è successo a Genova a Clara Ceccarelli, uccisa da cento coltellate dell’ex compagno Renato Scapusi. Grande impressione anche perché la donna aveva già pagato il proprio funerale, per non pesare sul padre anziano e su un figlio disabile. L’uomo la perseguitava, anche minacciandola di morte, da quando lo aveva lasciato.

Oppure i media si attivano quando le violenze si susseguono in poche ore. Dalle cronache di martedì scorso, 23 febbraio: a Trento Lorenzo Cattoni uccide la moglie, Deborah Saltori, con l’accetta. Quattro figli, si stavano separando. A Ferrara Rossella Placati, madre di due figli, viene trovata con la testa spaccata. Arrestato e sospettato il compagno Doriano Saveri. A Torino una ragazza è ferita più volte con un coltello dall’ex fidanzato Jetmir Kurtsmajlaj. Si salva ma resta in prognosi riservata dopo un intervento di sei ore. I quotidiani ripercorrono i femminicidi dall’inizio dell’anno: uno ogni cinque giorni.

Ha fatto discutere un tweet di Milena Gabanelli: «Ne ammazzano una al giorno. Ma io vedo solo donne manifestare, protestare, gridare aiuto. Non ho visto una sola iniziativa organizzata dagli uomini, contro gli uomini che uccidono le loro mogli o fidanzate. Dove siete? Non è una cosa da maschi proteggere le donne?». Domanda ripetuta da Giulia Borgese sul Corriere della sera del 26 febbraio. Ci sono state alcune risposte. A Biella, per iniziativa di Paolo Zanone, imprenditore e uomo di teatro, si è svolta una manifestazione di uomini con mascherine e scarpe rosse, per dire no alla violenza contro le donne.

A Torino il “Cerchio degli uomini”, gruppo che da una ventina d’anni è impegnato contro il sessismo maschilista, anche con una attività rivolta ai maschi che agiscono violenza perché escano dalla spirale, ha organizzato un flash-mob in piazza Castello. Tra gli slogan sulle pettorine: «Legarsi a una persona non vuol dire possederla, ma amarla ed essere in grado di lasciarla e di vederla andare via». Domani, mercoledì, qualcosa di analogo è previsto a Genova, in piazza De Ferrari. A convocare gli uomini è stato un preside, Paolo Fasce, dell’Istituto Nautico San Giorgio. Ha detto ai media che non si tratta di fare del “paternalismo” ma di cambiare una «cultura diffusa. La donna non è mia. Ci apparteniamo reciprocamente finchè la cosa è consensuale». Un altro flash-mob è annunciato prima dell’8 marzo a Bari, organizzato dal gruppo “Uomini in gioco”.

In questi gruppi ci sono alcuni amici della rete maschile plurale. In realtà non è la prima volta che si organizzano iniziative pubbliche di maschi contro la violenza. Succede in Italia da almeno una decina di anni. Ma gli interrogativi e anche gli appelli come quelli di Gabanelli e Borgese ci dicono che siamo ancora distanti dal riuscire a svolgere un ruolo efficace e visibile. «Fare una manifestazione», che per ora raccoglie qualche decina, o al massimo centinaio, di uomini, non risolve certo la questione. Anzi si corre il rischio di “cavarsela” con poco.

Dall’universo maschile dovrebbero venire gesti simbolici forti e scelte chiare e durature, capaci di rompere quello che viene percepito come silenzio, assenza. Se guardiamo la scena pubblica vediamo esattamente il contrario. Qualcosa forse sta cambiando nei comportamenti quotidiani degli uomini più giovani. Chi di noi ci crede, deve insistere, lavorare di fantasia, convincersi e convincere che un mondo meno virilmente violento renderebbe migliori anche le nostre vite.


(il manifesto, 2 marzo 2021)

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