3 Novembre 2021
Marie Claire

Michelle Wu, la prima sindaca di Boston che entrò in politica per salvare sua madre

di Arianna Galati


Una storia famigliare complessa, due lauree ad Harvard e la metodica volontà di cambiare le cose: biografia della prima cittadina che ha interrotto l’egemonia maschile a Boston


La prima elezione ad aprire nuove strade e menti in una città apparentemente immobilista, la prima a (far) cambiare una rotta che sembrava tracciata per sempre. Record personali e cittadini adornano la vittoria di Michelle Wu, prima donna sindaca di Boston, prima ‘person of color’ di origine asiatica, prima non nata in città e a ricoprire ufficialmente il più alto incarico amministrativo. Nonché protagonista di una sfida tra due donne del tutto inedita in una città come Boston, profondamente ancorata ad una sfilza di rappresentanti uomini, bianchi, eredi dei primi immigrati italiani o irlandesi, sin dagli anni Trenta del ’900. Le due candidate a sindaca di Boston Michelle Wu e Annissa Essaibi George sono state una novità scrosciante nelle elezioni americane 2021: giovani, donne, più o meno progressiste, americane di prima generazione (Michelle Wu è di origini taiwanesi, Annissa Essaibi George ha genitori marocchini). Qualcosa di profondamente fresco e convincente, rappresentativo della società che cambia: due donne pronte a spendersi per la città mantenendo anche promesse divisive. E, nel caso di Michelle Wu, premiate per questo dall’elettorato meno privilegiato, il più complicato da conquistare. Per una persona che non aveva mai pensato di fare politica, l’elezione a sindaca è un notevole cambio di programma. Ma Michelle Wu alle giravolte improvvise della vita è abituata sin da piccola.

Nata nel 1985 a Chicago, figlia maggiore di quattro avuti da genitori di Taiwan arrivati in USA per lavoro (il padre Han Wu, ingegnere chimico, aveva ricevuto un posto di lavoro come studente laureato all’Illinois Institute Of Technology), a quattro-cinque anni Michelle Wu ha iniziato a far da interprete a mamma e papà per aiutarli a comprendere documenti dall’inglese, che non parlavano affatto, al mandarino. La politica attiva era quanto di più lontano dalle loro intenzioni. I signori Wu erano fuggiti dalla carestia e dalla guerra civile in Cina e non avevano un’alta opinione di governi o istituzioni, ma quanto all’educazione dei figli le idee erano cristalline: «Ci hanno sempre detto che potevamo fare qualunque cosa, ma dovevamo essere i migliori. Se volevo fare l’artista, dovevo essere Picasso» ha raccontato al New York Times Sherelle Wu, la sorella minore della nuova sindaca di Boston. Che, forte di questo modello, non ha fatto eccezione: testa di serie della squadra di matematica, eccellente al pianoforte, voti altissimi ottenuti agli esami finali. Per Michelle Wu si sono spalancate le porte di Harvard, il desiderio dei suoi genitori di vederla laureata (loro volevano medicina, lei scelse economia) si era avverato. Ma mentre conquistava Boston per la prima volta, aggiudicandosi un posto al sole nella roccaforte dell’istruzione high class americana, la sua famiglia si disfaceva.

Il padre viveva separato dalla famiglia da qualche anno, e il divorzio divenne l’elemento scatenante di un disagio mentale che la madre di Michelle Wu, isolata nel quartiere di periferia in cui abitava, iniziò a manifestare con frequenza sempre maggiore: vagava senza meta, urlava contro il televisore, chiamava ossessivamente il 911 per denunciare minacce immaginarie ai suoi danni. «È iniziata come una paranoia, credeva di essere osservata e monitorata da un’entità simile all’esercito della sua infanzia a Taiwan, dopo la guerra» ha scritto Michelle Wu in un articolo dedicato all’importanza della salute mentale, pubblicato sul Boston Globe nel 2020. La diagnosi di schizofrenia della madre è stata decisiva per la giovane alunna di Harvard: di fronte alla madre sotto la pioggia, che giurava di star aspettando un misterioso autista per un altrettanto segreto meeting e le controllava ossessivamente il neo sul volto per avere la certezza che la figlia non fosse un’androide, Michelle Wu ha compreso ciò che voleva fare davvero: occuparsi degli altri. A ventitré anni è tornata a Chicago, ha aperto un negozio di tè e si è fatta carico del caregiving in una famiglia dove le sorelle e il fratello erano ancora minorenni, e la madre necessitava di terapie continue. I ricoveri d’urgenza della signora, però, le avevano dato un’impressione sconvolgente di disumanizzazione della persona, con trattamenti che non rispettavano l’essere umano ma lo riducevano a un problema da estirpare a colpi di medicine. Per cambiare qualcosa doveva impegnarsi in prima persona, e doveva farlo nel posto giusto: Chicago non era più per lei e la sua famiglia. Scelse di tornare a Boston e si iscrisse alla facoltà di Legge, per conoscere a fondo i cavilli legali e burocratici connessi al rispetto della salute mentale.

All’università la strada di Michelle Wu incrocia quella di Elizabeth Warren, futura senatrice USA e allora docente di diritto contrattuale. L’umanità le ha unite, tanto che Wu ha sostenuto la candidatura di Warren alle primarie dem per le presidenziali, e la stessa senatrice ha dichiarato apertamente il suo endorsement a Michelle Wu nella corsa a sindaca di Boston con una frase affettuosa, «Michelle è una di famiglia». Ma soprattutto, la ex studentessa diventata consigliera conosce davvero la città. Ogni strada, slargo, persona, comunità presente sul territorio per Wu non ha segreti, la sua memoria fotografica ha raggiunto picchi da leggenda. «Ti sa dire almeno sei posti dove gli albanesi si vedono a Roslindale» ha raccontato l’ex consigliere bostoniano Josh Connolly al New York Times, citando il quartiere dove vive Michelle Wu con il marito Conor Pewarski, i loro due figli Blaise (2015) e Cass (nel 2017), e la madre. Esagerato? Affatto. Una delle sue grandi vittorie come consigliera riguarda proprio i lavori tra i più sottostimati dall’economica americana, quelli della ristorazione, per i quali ha elaborato la politica definita food justice, dedicata all’aumento del salario minimo e alla graduale eliminazione del sistema delle mance, da cui molti di loro sono tristemente dipendenti, per una maggiore dignità professionale. La bravura e le competenze di Michelle Wu sono fuori discussione, anche se nella sua ormai decennale carriera politica le batoste non sono mancate: da seconda donna di colore eletta nel Boston City Council (il primato è di Ayanna Pressley, una delle quattro democratiche della blue wave nelle midterm del 2018) a soli ventott’anni, le pressioni nei momenti cruciali non sono mancate. Le è toccato calibrare attentamente sostegni e appoggi, da perfezionista dei rapporti umani come lei, sopportando scontri ideologici uno dietro l’altro che, lo ha ammesso apertamente, l’hanno lasciata «devastata e scossa» molte volte. Dagli errori si impara sempre e Michelle Wu lo ha fatto continuando ad agire, l’unico modo che conosca per cambiare le cose. Nei suoi quattro mandati da consigliera comunale si è presentata spesso con i due figli alle riunioni, rompendo di fatto la lunga tradizione dominata da uomini che si dichiaravano orgogliosi padri di famiglia, ma si erano ben guardati dal portare i bambini nelle istituzioni. Una vera Mrs Outsider, come è stata definita, che con il vecchio establishment c’entra ben poco. E il programma elettorale di Michelle Wu sindaca di Boston lo riflette nel real green deal per la città: un freno agli immobiliaristi, la rinuncia alla tassazione per i trasporti pubblici, la volontà di calmierare gli affitti (sulla quale si prepara una battaglia con la legge dello Stato) e contenere la gentrificazione di Boston, esplosa quale new place to be dopo qualche anno di placida sonnolenza. Non sarà facile, ovvio. Ma la metodica Michelle Wu eletta prima cittadina di Boston, vera rivoluzione su gambe e cervello, ha la risposta pronta: «Ogni volta, quando le persone dicevano che fosse impossibile, ce l’abbiamo fatta».


(marieclaire.com, 3 novembre 2021)

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