26 Ottobre 2022
la Repubblica

Nascita di una leader – Giorgia l’equilibrista tra alleati “mostruosi” 

 di Concita De Gregorio


Una fuoriclasse. Sgombriamo subito il campo dalle ideologie, dire bè sì però era un discorso di destra fa sorridere, non trovate? Che obiezione è? Vi aspettavate Dolores Ibarruri? Non vi ricordate di chi stiamo parlando, non sapevate che ha cominciato a quindici anni nel Fronte della Gioventù? Lei è di destra. Certo, che ha fatto un discorso di destra. Impeccabile, tuttavia. Convinto, competente, appassionato, libero, sincero. Avercene, si dice a Roma: avercene a sinistra di presenze di questo calibro da opporre, eventualmente, alle sue ragioni con la forza della ragione. «È nata una leader», mi ha scritto un amico anziano e autorevole, uno non del suo mondo, mentre lei parlava tossendo e bevendo alla Camera. «Da mo’», avrebbe risposto lei che ha detto a Salvini a microfono aperto «così finimo alle tre», e ho finito con il romanesco. La leader c’era già, da anni, solo che ora l’hanno vista tutti – cancellerie del globo comprese – e la verità da dire, la verità gaglioffa, è che non se l’aspettavano: nessuno, se l’aspettava. Né l’opposizione, né i suoi. Si leggeva nei silenzi, nei sorrisi timidi, negli applausi di farfalla dell’emiciclo. Sorpresa. L’attendevano al varco, prevedevano che avrebbe inciampato. Sì, però non ha detto del fascismo. L’ha detto. Eh, ma le leggi razziali: «Il punto più basso della storia, una vergogna». Vabbè, ma la mafia. La mafia. E la storia delle donne, il femminismo? Ecco il suo Pantheon. Già, ma non sono le nostre. No, certo, sono le sue. Ma le chiama per nome, si fa chiamare per nome e per giunta pretende l’articolo al maschile: urge dibattito. Eh no, però: perché l’abbiamo detto tanto, l’abbiamo detto sempre. Non si tratta di imporre una regola, di essere in modo speculare e contrario autoritari/e, con schwa o senza: si tratta di rispettare la sensibilità della persona. Se io ti autorizzo a chiamarmi per nome puoi farlo, se non ti autorizzo no. Fino al punto che se mi sento Mario e sono nata Anna devi chiamarmi Mario – e viceversa. Al limite, la discussione sulla libertà individuale e sul libero arbitrio è persino riaccesa dalle legittime posizioni personali e politiche di Giorgia Meloni: vale sempre, giusto? Vale per lei, che intende farsi chiamare Il Presidente contro la grammatica, e allora vale per tutti, la relatività della grammatica. Poi ciascuno è libero, e qui si apre una grandissima questione fonte di sterminate opportunità per la sinistra: stabilire cosa sia la libertà fuori dalla prescrizione, dall’oppressione cupa del politicamente corretto, dal testacoda di senso del dogma – quando si parla di identità, di libertà, di corpo. Ma non divaghiamo. La Repubblica non è nata dal Risorgimento, è nata dalla Resistenza. Sì, ma si è già detto che era un discorso di destra, giusto? Liberi tutti di opporre eroi a eroi, ragioni a ragioni: vediamo chi vince, chi convince. Fatevi avanti con le vostre opinioni, possibilmente comprensibili perché se nessuno vi capisce non serve a niente dire “non è così semplice”: è semplice, invece, quello che è evidente – di solito. 
Piccola inessenziale precisazione personale. Non sono d’accordo coi due terzi delle cose che ha detto, per quel niente che conta, ma l’ho ascoltata con grande attenzione. Per la prima volta da molti anni ho sentito – in un discorso di insediamento – l’eco di una storia personale appassionata e convinta e ho avuto voglia, avrei voglia, di discuterne. Non è questa forse la linfa della democrazia? Avere qualcuno con idee diverse dalle tue a cui opporre altre ragioni? Poi certo: quando dice «vengo da una storia politica relegata ai margini della Repubblica» mi viene da dire che ci sono buoni motivi, ottimi. E però se anche Liliana Segre obietta che il nemico è il pregiudizio, stiamo ai fatti: Segre sa di cosa parla, sono con lei. 
Il problema di Giorgia Meloni, il suo grandissimo problema, sono i suoi compagni di viaggio. Non è lei che spaventa, è il caravanserraglio di vecchie cariatidi che sono salite a bordo della sua scialuppa entusiaste di ritrovare una verginità grazie alla sua giovinezza. Credo che lo sappia bene anche lei, che tuttavia deve fare con chi ha. Anche a sinistra, del resto, il problema della “compagnia” è stato sempre un freno, un alibi, una valida scusa: si voleva fare, non si poté. Le correnti, gli alleati, i numeri: si voleva rifondare il partito, ma non ci lasciarono – erano i nostri. Ecco: i suoi sono, lo dico con rispetto, una galleria di mostri. Non tutti, parecchi. Lei rivendica di non essere ricattabile, ma molti di loro sì: lo sono e lo sono stati. La usano come scialuppa, come paravento. Sono, in molti, profittatori e portatori di opachi interessi personali. Tuttavia, una cosa c’è da dire: il maestoso potere del tempo è dalla sua parte. È una questione di anni, forse di mesi: la resa dei conti dentro Forza Italia si consumerà a breve, l’elettorato leghista dirà dove si sente più comodo, i vecchi fatalmente spariranno. Qui interviene l’altro tema: se lei lo sappia o no, di essere “usata”. Io credo che lo sappia, e faccia buon viso perché altro non può fare, nell’attesa. Di più, se lei finga: se sia alla fine uguale a loro, solo molto più brava a comunicare – a fare il gioco delle tre carte. Una pericolosa affarista, un’antidemocratica travestita da ragazza di borgata. Rischio, ma non credo. Penso che sia una giovane donna di destra, convinta delle sue ragioni e abituata a fare da sola con la farina che ha. Una grandissima comunicatrice, un’equilibrista, una dissimulatrice: certo. Una che cambia pelle secondo necessità: sicuro. Una politica, insomma. La sua campagna elettorale è stata la migliore di tutte, difatti ha vinto. Draghi l’ha capito bene. Non è questo che conta? Non è saper comunicare, la politica? Quando Meloni dice «sono pronta a fare quello che va fatto a costo di non essere compresa» parla per la prima volta da secoli di clima e non di meteo: dei prossimi dieci anni e non dei futuri dieci giorni. Poi. Voglio discutere di scafisti e di flussi, di merito e di opportunità, di tasse e di diritti. Di cannabis e di mercati criminali, di cosa sia una famiglia e di chi lo decida. Di corpo, di lavoro, di felicità e di abissi. Sarei contenta di discuterne lealmente, senza che ci siano dietro interessi torbidi, convenienze personali, questioni di soldi e di potere. Sarei contenta, «dentro l’Europa», che chiunque possa sovvertire i pronostici. Non credo che nessuno voglia «disturbare chi vuole fare». Lo auguro ai miei figli e anche a chi di figli non ne ha e non ne vuole, dal profondo del cuore. Giochiamocela, questa partita. Speriamo che sia leale, sincera. Una pastiglia per la tosse sempre in tasca, e anche con la febbre – come siamo abituati a fare, direi soprattutto abituate a fare: andiamo a dire la nostra. Andiamo a lavorare. 


(la Repubblica, 26 ottobre 2022)

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