27 Agosto 2020
Il Quotidiano del Sud

Negli ospedali calabresi si muore di gravidanza e di parto

di Franca Fortunato


M.C, Santina Adamo e Tiziana Lombardo, tre donne incinte, tre madri di 34, 35 e 37 anni, morte negli ospedali della Calabria. M.C il 21 agosto scorso, Santina il 17 luglio 2019 e Tiziana il 5 gennaio 2017.

M.C., al sesto mese di gravidanza, è morta insieme alla sua creatura nell’ospedale di Cosenza. Qualche giorno prima si era presentata al Pronto soccorso con forti dolori all’addome e i medici, dopo averla visitata, l’avevano dimessa. Tornata due giorni dopo, perché i dolori si erano fatti sempre più forti, l’hanno ricoverata e, nonostante le cure e gli approfondimenti diagnostici, è morta. L’autopsia farà luce sulle cause della morte. Santina Adamo, già mamma di un bimbo di tre anni, era arrivata all’ospedale di Cetraro da Fuscaldo, dove era in vacanza con la famiglia, per partorire. Il parto naturale, come da lei richiesto, è andato bene, ma subito dopo ha avuto una forte emorragia. Portata d’urgenza in sala operatoria, ogni sforzo per salvarla è stato inutile. È morta poche ore dopo aver dato alla luce il suo bambino. In quella stanza non c’era sangue a sufficienza né un chirurgo perché i dirigenti dell’Asp, qualche settimana prima, avevano deciso che il centro trasfusionale e quello chirurgico dovessero concentrarsi a Paola, a 25 Km da Cetraro. Santina è morta in attesa della sacca di sangue, arrivata troppo tardi. Tiziana Lombardo, madre di un bambino di cinque anni, è morta per aneurisma addominale all’ospedale di Vibo Valentia tre giorni dopo aver dato alla luce la piccola Giada. In tutti e tre i casi sono state aperte inchieste giudiziarie e mandati negli ospedali ispettori del Ministero.

La morte in gravidanza, con la creatura portata in grembo, e per parto è parte della storia delle donne, ma se nel passato era accettata come una fatalità, una sfortuna, oggi – fatte salve le responsabilità individuali – più del fato e della sfortuna possono le scelte di politica sanitaria dei vari governi e della decennale gestione commissariale (risparmio di spesa, tagli di servizi e posti letto, blocco turnover, riparto finanziamenti statali a favore del nord) che ha portato la sanità calabrese – nonostante le eccellenze – a non poter garantire i Livelli essenziali di assistenza e ha reso i Punti nascita non sicuri per le donne, le loro creature e per tutto il personale sanitario che vi opera, come denunciato da tempo dai direttori degli stessi e dalle organizzazioni professionali di ginecologia e ostetricia, che hanno chiesto interventi urgenti. All’ospedale di Lamezia Terme a gennaio scorso l’ambulatorio di ginecologia è stato chiuso per mancanza di medici.

Nel giro di sessant’ anni, l’ospedale è divenuto l’unico luogo dove si nasce, oltre che l’unico dove sempre più si va a morire. Un luogo ritenuto più sicuro della propria casa dove per generazioni, almeno fino a quella di mia madre, le donne partorivano con l’aiuto della levatrice e di altre donne e con l’intervento del medico curante in caso di complicazioni. Un sapere antico, quello delle levatrici, trasmesso per secoli da madre in figlia, da donna a donna; una relazione di fiducia e affidamento tra donne, quella tra partoriente e levatrice, che, spostatasi all’interno dell’ospedale, oggi è fortemente in crisi, almeno in Calabria.


(Il Quotidiano del Sud, 27 agosto 2020)

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