29 Dicembre 2020
Corriere della sera

Nina Bahinskaja, la settantaduenne bielorussa che guida i giovani contro il regime

di Silvia Camisasca


In Messico e Argentina. A Hong Kong e sul confine turco-siriano: ogni volta che mobilitazione di piazza o dissenso politico assumono i toni della non violenza hanno il volto femminile di studentesse, operaie, giornaliste, madri: sfidano a testa alta cinici dittatori, affrontano a viso aperto le milizie paramilitari, rivendicano orgogliosamente diritti, negati o violati, allo studio, al lavoro, alla libertà. E, quando i loro compagni, figli, fratelli sono imprigionati, torturati o uccisi, si battono perché sia fatta giustizia, anche in nome della loro memoria. Dal 9 agosto, in Bielorussia, giorno delle elezioni (ritenute illegittime dall’Ue), in cui Aleksandr Lukashenko si è autoproclamato presidente, la resistenza al regime è combattuta a colpi di fiori, quelli con cui migliaia di donne ogni fine settimana scendono per le strade della capitale Minsk: li sventolano con le bandiere bianco-rosso-bianco della nazione di fronte all’avanzare delle camionette e dei cingolati delle forze di polizia. Difendono con i denti gli scampoli di libertà sfuggiti al controllo di un regime ossessivo e a morsi i loro corpi dalle aggressioni delle guardie presidenziali. Fin dall’inizio, durante la campagna elettorale, le uniche voci che, candidandosi direttamente o coordinando la regia dell’opposizione, hanno osato sfidare lo strapotere dell’uomo forte del Paese, sono state quelle di Svetlana Tikhanovskaya, costretta poi a riparare in Lituania, da cui ancora coordina le attività di protesta, Maria Kolesnikova, portavoce dell’avversario di Lukashenko, incarcerato poco prima delle elezioni, e Veronika Tsepkalo, moglie del presidente del parco tecnologico bielorusso.

Sentendosi minacciato dal seguito che andava riscuotendo il movimento rosa, Lukashenko aveva dichiarato illegittima costituzionalmente una presidenza al femminile. L’indignazione conseguente a una tale discriminazione suscitò un’ondata di protesta e per giorni le piazze della capitale e di diversi centri del Paese furono invase da catene umane in cui ragazze, pensionate, avvocatesse e casalinghe sfilarono, mano nella mano, nel nome delle leader della rivolta, simboli di resistenza per tutte loro. Esattamente come Norma Victoria Berti, voce delle detenute imprigionate da Vileda e Massera a metà degli Anni 70, la settantaduenne Nina Bahinskaja è divenuta l’icona di migliaia di giovani bielorusse, il cui motto «Sto solo passeggiando» si ispira alla pronta risposta della coraggiosa Nina all’interrogatorio dei servizi speciali. Ormai virale, lo slogan è stato adottato dalle ventenni, nate sotto il regime di Lukashenko, e che mai hanno conosciuto la democrazia nel loro Paese, che ora manifestano perché sia liberata Nina, incarcerata per le sue posizioni antigovernative. Pochi giorni prima del suo arresto, la avevamo incontrata davanti al tribunale, dove era stata chiamata a testimoniare: «Non ho paura per me: da anni mi hanno sequestrato il conto corrente per riscuotere le multe dovute alle denunce contro i soprusi di un regime crudele e liberticida. Non mi voglio arrendere a lasciare alle future generazioni un Paese in ginocchio, corrotto e senza speranza». Degli oltre 20.000 oppositori transitati per le carceri del Paese, delle iterate torture e violenze su manifestanti inermi, dentro e fuori le centrali di polizia, delle operazioni di rastrellamento e giustizia sommaria, delle silenziose sparizioni di attivisti politici, continuano a dare testimonianza tante giornaliste. E dei 360 fermati negli ultimi tre mesi, in gran parte sono donne arrestate senza alcun procedimento penale a carico, come Katerina Borisevich, Darya Chultsova e Katerina Andreeva: in particolare, Katerina stava indagando sulla morte di Roman Bondarenko, secondo fonti ufficiali, dovuta ad una rissa per stato di ubriachezza. Versione smentita dalle testimonianze dei medici. Nemmeno Elena, la madre di Roman, intende rinunciare alla verità e si sta battendo affinché emerga.

Persino Miss Bielorussa 2008, Olga Khizhinkova, icona utile alla propaganda nazionalistica filogovernativa, nonostante stia pagando la sua esposizione contro il regime con l’estromissione dalle tv di Stato e ora con la condanna al carcere, per la partecipazione a un sit in non autorizzato, ha invitato il mondo della televisione e dello spettacolo ad unirsi alla protesta degli attivisti. Ed è di un’intellettuale di valore, il premio Nobel Svetlana Alexievich, l’invito che dalla Germania dove si trova in esilio, dopo essere stata perseguitata dal regime, è stato rivolto alla comunità internazionale, perché si intervenga a porre fine alle violenze che stanno insanguinando questo piccolo Paese nel cuore dell’Europa. Proprio nel cuore del vecchio continente il sacrificio maggiore lo stanno pagando le donne, di ogni età. Eppure, il coro che risuona nel cielo della vecchia Europa parla di speranza: «Non ci arrenderemo fino a che il nostro domani non sarà libero e democratico».


(Corriere della sera, 29 dicembre 2020)

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