3 Aprile 2020
Left

«Non ne sarei uscita viva»

di Teresa Manente


Una donna ospitata lo scorso anno in un centro antiviolenza, in questi giorni di emergenza sanitaria mi ha scritto: «Sono proprio fortunata, mi sento una privilegiata ad essere uscita dalla situazione di violenza che subivo da parte di mio marito. Se la pandemia ci fosse stata lo scorso anno forse ora non so se ne sarei uscita viva. Ho avuto la fortuna di aver ricevuto aiuto e sostegno da tutte voi. Grazie avvocata per il suo impegno. Penso alle tante donne costrette a stare in casa con il marito violento, penso ai tanti bambini costretti a vedere la propria madre denigrata maltrattata e impotente, perché controllata a vista, costretta al silenzio. Come potersi ribellare nell’attuale situazione?».

Questa lettera mette in luce la gravità delle problematiche che si trovano a vivere le donne maltrattate nell’attuale situazione di emergenza, un’emergenza nell’emergenza che richiede la massima attenzione da parte delle istituzioni e della società civile, perché il rischio di vita per le donne e per i bambini è molto alto: la condivisione obbligatoria dello spazio abitativo con il partner violento innalza il pericolo dell’escalation di violenza sempre presente nelle situazioni di violenza domestica e la limitazione della circolazione e di contatti esterni rende difficile l’emersione di queste situazioni. Ancora più sommersa rimane in questo periodo l’esperienza delle donne straniere, in particolare coloro senza permesso di soggiorno, che temono non solo di subire ulteriori e più gravi violenze, ma anche l’avvio nei loro confronti delle procedure di espulsione e trattenimento nei centri per il rimpatrio.

Nelle ultime settimane a partire dal 9 marzo si è registrata una diminuzione pari all’85% degli accessi delle donne ai centri antiviolenza e agli sportelli gestiti dall’Associazione Differenza Donna che non hanno mai smesso di operare 24 ore su 24, adottando tutte le misure coerenti con le disposizioni entrate in vigore. Così anche una contestuale riduzione degli invii da parte delle forze dell’ordine. Molte sono le donne che ci hanno segnalato tramite sms difficoltà a telefonare perché sottoposte al controllo continuo del partner.

Dai dati emersi in questi giorni sui media, per ultimo dal documento della Commissione di inchiesta sul femminicidio – Presidente l’On. Valeria Valente – sulle misure per rispondere alle problematiche delle donne vittime di violenza, dei centri antiviolenza delle case rifugio e degli sportelli antiviolenza e antitratta nella situazione di emergenza epidemiologica da Covid-19 del 26 marzo, emerge una diminuzione importante su tutto il territorio nazionale non solo degli accessi fisici e di telefonate delle donne ai centri antiviolenza, sportelli antiviolenza e al 1522 (numero nazionale antiviolenza), ma anche delle stesse denunce per maltrattamenti (i reati di maltrattamenti contro familiare e conviventi, denunciati a tutte le forze dell’ordine, sono passati dai 1.157 dei primi 22 giorni del marzo 2019 ai “soli” 652 dello stesso periodo di quest’anno).

In questa situazione oltre a incrementare la pubblicizzazione del numero 1522, a fornire i centri antiviolenza di adeguate mascherine protettive per consentire l’operatività degli stessi, in piena sicurezza, assicurare un coordinamento diretto tra le forze dell’ordine e i centri antiviolenza per un pronto intervento, occorre intervenire con tutti gli strumenti utili che il nostro ordinamento prevede per dare immediata protezione alle vittime, obbligo sancito dalla Convenzione di Istanbul nonché dalla Direttiva 29/2012 sui diritti della vittima.

La “fuga da casa” delle donne e dei bambini deve e dovrebbe essere sempre e solo una emergenza a cui si è costrette solo nel caso di mancato intervento tempestivo delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria, perché la violenza nei confronti delle donne costituisce una questione di riconoscimento dei diritti fondamentali della persona. Mi preme segnalare che oggi il nostro ordinamento normativo dispone di misure in grado di assicurare in maniera tempestiva protezione alle donne (arresto in flagranza, ordine di allontanamento urgente dalla casa familiare, misure cautelari specifiche e ordini di protezione in sede civile), strumenti che se fossero applicati in maniera rigorosa eviterebbero la necessità di fuga dalla casa familiare da parte delle donne tutelandone la loro incolumità e quella dei figli minori.

Eppure nella prassi queste norme troppo spesso non vengono applicate. Le donne non sono credute e le loro paure sono sottovalutate. In sede civile, nonostante le disposizioni (art. 342/bis, 342/ter codice civile; art. 736/bis codice di procedura civile) prevedano la possibilità per l’autorità giudiziaria di emanare – nei casi di urgenza – ordine di protezione inaudita altera parte, ossia prima di instaurare il contraddittorio, ordinando l’immediato allontanamento del partner violento dalla casa familiare che sia «causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente», nella prassi tale procedimento è poco utilizzato dai giudici: una volta depositato il ricorso, i giudici, di regola, fissano un termine per la notificazione al partner del ricorso con fissazione dell’udienza. Ciò mette in pericolo l’incolumità della donna perché il partner venuto a conoscenza del ricorso aggrava la sua condotta. È il caso di una donna che l’11 marzo, proprio in attesa dell’udienza di trattazione a seguito della sua richiesta di ordine di allontanamento, si è vista aggredita dal convivente con un coltello e che solo grazie all’intervento immediato delle forze dell’ordine, allertate dal figlio e dal centro antiviolenza, è stato arrestato. L’allontanamento immediato inaudita altera parte assicurerebbe la massima protezione delle donne spostando a dopo l’esecuzione della misura la comparizione del partner violento dinanzi all’autorità giudiziaria.

Il contraddittorio differito assicurerebbe comunque piena difesa alla parte convenuta, scongiurando nelle more del giudizio possibili e più gravi reazioni violente.

Anche in sede penale non vengono applicate le misure previste dal nostro ordinamento per proteggere nell’immediato le donne: le forze dell’ordine chiamate a intervenire in una situazione di emergenza raramente applicano l’ordine di allontanamento urgente dalla casa familiare dell’uomo maltrattante previsto dall’art. 384-bis del codice di procedura penale, una misura questa che consentirebbe «previa autorizzazione del pubblico ministero anche resa oralmente e confermata in via telematica», di intervenire in maniera tempestiva e adeguata a proteggere la vittima da ulteriori violenze. In questi giorni una donna si è rivolta al centro antiviolenza perché a seguito di intervento delle forze dell’ordine si è dovuta allontanare dalla casa familiare e chiedere ospitalità a una sua amica, perché le violenze denunciate non erano abbastanza gravi, nella valutazione degli operanti intervenuti, per allontanare il marito. Eppure l’articolo 384 bis c.p.p. prevede l’allontanamento urgente dall’abitazione familiare anche per minacce gravi (articolo 612 comma 2c.p.), lesioni volontarie, anche lievissime, se vi è querela e siano aggravate (per esempio se il fatto è commesso con armi, contro coniuge o convivente o persona legata da relazione affettiva). Al riguardo, preciso che va sempre disposto l’allontanamento dall’abitazione familiare della persona violenta e non delle vittime e ciò anche nelle ipotesi in cui la vittima sia stata costretta ad allontanarsi dall’abitazione familiare per sottrarsi alla violenza. Una volta emesso il provvedimento, infatti, la donna può rientrare nell’abitazione familiare e ove necessario, all’uomo potrà applicarsi la modalità di controllo del c.d. “braccialetto elettronico”.

Il nodo critico dunque è sicuramente quello applicativo, correlato alla mancanza di adeguata formazione sul tema sulle cause storiche culturali e sociali che sottendono alla violenza di genere contro le donne, una forma di discriminazione del genere femminile che in questa attuale situazione di emergenza ci espone a un doppio rischio.


(Left, 3 aprile 2020)


3 Aprile 2020 – Articolo su Left a cura di Teresa Manente, Responsabile ufficio legale di Differenza Donna

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