25 Ottobre 2023
Avvenire

«Non scrivete il nome di mio padre su una bomba»

di Lucia Capuzzi


«Non scrivete il nome di mio padre su una bomba». È stato questo il toccante appello di Yoatam Kpnis, figlio ventinovenne di Liliach Lea Havron ed Eviatar Kipnis, gli italo-israeliani assassinati da Hamas nell’attacco al kibbutz di Be’eri dove vivevano. Entrambi erano scomparsi il 7 ottobre. Dieci giorni dopo, attraverso il test del Dna era stato identificato il cadavere di Eviatar. Il 23 ottobre era stato scoperto il corpo di Liliach. Yoatam, che era scampato alla strage solo perché quel giorno si era fermato a Ramat Gan, vicino a Tel Aviv, ha tenuto un breve discorso durante la cerimonia di addio del padre, al kibbutz Maagan Michael. «Papà è stato ucciso e abbandonato da persone che non riescono a capirlo. Razzisti che odiano lo straniero, estremisti che santificano morte e vendetta anziché vita», ha sottolineato il giovane che ha ricordato il clima di tolleranza respirato in famiglia fin da bambino: «A casa sentivamo proverbi in arabo, canzoni in spagnolo e francese. Facevamo lezioni di italiano e di inglese». Proprio per rispettare la memoria di Eviatar – ha aggiunto – «non lasceremo i politici, che lo hanno lasciato solo, danzare sul suo sangue. Non faremo silenzio quando i cannoni ruggiscono, e non dimenticheremo che papà amava la pace. Che non era pronto a servire nei Territori per i quali il Negev è stato abbandonato». Parole forti e coraggiose specie in questo tempo di lutto collettivo e di rabbia per la violenza subita. La risposta, però – ha sottolineato Yoatam – non può essere la vendetta. «Papà non ha dimenticato che a Gaza vivono anche persone innocenti, bloccate tra il martello del governo di Israele e l’incudine della dittatura di Hamas. Hamas che è il nemico, non i palestinesi». Poi ha concluso: «La guerra non finirà davvero finché non porteremo la pace. E anche quando celebriamo un funerale dopo l’altro, non possiamo dimenticare la vita. La vita che papà amava tanto. Perché c’era vita prima della guerra, ci sarà vita dopo, e c’è vita durante la guerra. Ed è permesso amare. Amare la vita che era e la vita che c’è ancora, amare il mondo e amare l’essere umano».


(Avvenire, 25 ottobre 2023)

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