di Silvia Morosi
La studentessa 26enne chiede misure più stringenti contro il riscaldamento globale: «Voglio che la politica si impegni davvero per il futuro dei giovani neozelandesi, perché saranno loro a dover affrontare le conseguenze del riscaldamento globale»
In molti hanno già paragonato la sua battaglia a quella, epica, di Davide contro Golia. Perché la 26enne neozelandese Sarah Thomson, giovane studentessa di legge, ha deciso di sfidare il suo governo. In tribunale. Obiettivo? Far sì che il Paese faccia di più per il clima e adotti «misure più stringenti», come ha spiegato in una lunga lettera pubblicata sul sito The Spinoff. Il 26 giugno scorso alla Corte Suprema di Wellington la ragazza si è schierata contro l’esecutivo, colpevole di «aver preso misure inadeguate per contrastare il riscaldamento terrestre». Con l’accordo di Parigi del 2015, il Paese si era impegnato a raggiungere entro il 2030 un taglio delle emissioni pari al 30 per cento rispetto ai livelli del 2005. Per la studentessa questo obiettivo, e le modalità messe in campo per raggiungerlo, sono «illogici e irrazionali». Diversamente da quanto sostiene la ministra neozelandese responsabile del clima, Paula Bennett: «Il target – ha replicato – è equo e ambizioso, ed è stato fissato dopo un approfondito processo di consultazione».
«Smuovere le coscienze, soprattutto quelle dei giovani»
L’interesse di Sarah è rivolto soprattutto alla sua generazione: «Voglio che il governo prenda il tema ambientale sul serio e si impegni per il futuro dei giovani neozelandesi. Saranno loro a dover affrontare in futuro le conseguenze del riscaldamento globale». Un impegno nato dopo aver ascoltato un discorso di James Hansen, astrofisico e climatologo americano, dal 1981 a capo del Goddard Institute for Space Studies della Nasa, che in televisione ha paragonato il cambiamento climatico a «un asteroide che si avvicina alla Terra». Il primo, insomma, a denunciare la relazione tra il riscaldamento globale e l’attività umana. «Più a lungo aspettiamo ad agire, più sarà grave l’impatto», spiega Sarah. «Ho pensato: il governo deve salvarci dal fallimento imminente. Ma più il tempo passa, più mi sono resa conto della situazione e del fatto che non sempre la politica agisce nell’interesse della gente». La speranza è quella di smuovere le coscienze, soprattutto quelle dei suoi coetanei: «La maggior parte di noi sente che l’unico potere che ha per cambiare le leggi è il pezzo di carta inserito nell’urna ogni tre anni. C’è però un altro sistema, più vicino: quello dei tribunali». Una battaglia definita dall’ex primo ministro John Key «uno scherzo».
Il precedente in Olanda
Quello di Sarah non è il primo caso di impegno civile per una causa globale. Nel novembre del 2015 novecento cittadini, insieme a numerosi personaggi dello spettacolo, hanno chiesto al governo di intervenire contro l’effetto serra. La petizione ha portato la Corte Distrettuale dell’Aja a imporre al Paese di ridurre entro il 2020 le emissioni di almeno il 25 per cento, sostenendo che lo Stato non si fosse impegnato a sufficienza per risolvere il problema ambientale e per proteggere i suoi cittadini dai potenziali pericoli del cambiamento climatico. «Il governo dice che il nostro Paese è troppo piccolo per fare la differenza nella lotta globale contro le emissioni, ma siamo tutti responsabili», sottolinea la giovane. Essere un «semplice» cittadino non deve essere una barriera per ottenere giustizia. «C’è riuscita Kristine Bartlett con l’aumento dei salari, e Lecretia Seales che ha portato l’attenzione nazionale sulla questione dell’eutanasia e sul diritto di non essere soggetta a trattamenti crudeli o degradanti. Ci posso riuscire anche io, in campo ambientale», conclude ottimista Sarah. «Abbiamo ancora tempo per deviare il corso del clima. Ci vediamo in tribunale, Paula», ironizza, sfidando la ministra.
(Corriere della Sera, 5 luglio 2017)