2 Maggio 2021
7-Corriere

Pablo Iglesias: «Adesso è il momento di chiedere di più e si può farlo solo con il femminismo»

di Andrea Nicastro*


Pubblichiamo l’intervista di Andrea Nicastro a Pablo Iglesias, apparsa sull’ultimo numero di Sette, inserto del Corriere della Sera, come arricchimento della discussione avviata nell’ultima redazione allargata di Via Dogana 3 in cui è stato riaffermato che la politica è la politica delle donne, cioè la politica necessaria in questo momento di passaggio di civiltà.

Pablo Iglesias è stato uno dei principali ispiratori del movimento politico Podemos che si è presentato per la prima volta alle elezioni europee del 2014, ottenendo l’8% dei voti e più del 21% alle elezioni politiche spagnole del 2016.

La redazione del sito


Sentite come sale a mongolfiera l’ego di un maschio alfa: «Neppure il leader del maggior partito comunista dell’Occidente, Enrico Berlinguer, era riuscito ad arrivare dove sono arrivato io: un marxista in un governo dell’Alleanza Atlantica. Eppure Berlinguer aveva vinto le elezione europee, aveva parlato al Corriere del “tranquillizzante ombrello della Nato”. Dal punto di vista storico, guardare cosa ho realizzato mi dà le vertigini». Sentite ora un maschio femminista che sa cooperare senza voler essere il numero uno: «Il mio ruolo è di mettermi agli ordini di Yolanda. Nel basket fa da pivot (centravanti) chi mette più palle nel canestro. Mi è chiaro che Yolanda porta più voti di me al nostro progetto. La politica corre veloce e la mia figura è logorata. Bisogna capire quando fare un passo avanti per guidare e quando uno indietro per stare in posizione più modesta. Questo è il mio momento per fare da claque». Ci crediate o no, il macho e il femminista convivono nello stesso uomo: Pablo Iglesias, el coleta, il codino che ha cambiato la politica spagnola. 7 l’ha incontrato a Madrid, alla vigilia di un voto nel quale si gioca la carriera politica.

Si è dimesso da vicepremier. Si è dimesso da capo di Unidas Podemos, il cartello delle sinistre, e ha già rinunciato a correre da capo del governo alle prossime elezioni politiche quando ci saranno. La candidata premier sarà Yolanda Díaz, l’attuale ministra del Lavoro, e Pablo sarà «ai suoi ordini». Tutto per candidarsi il 4 maggio alla Comunidad di Madrid, un voto importante, per carità, ma pur sempre locale e per di più pericolosissimo per Unidas Podemos. La sua sinistra è al minimo nei sondaggi. Un leader nazionale che faccia male lì, sarebbe bruciato, finito.

Pablo Iglesias è un professore di politologia che dal 2014 sta usando se stesso come cavia per sperimentare le sue idee. «La realtà» spiegava all’università Complutense di Madrid «è definita dalle parole, chi cambia le parole, cambia la realtà». E allora, dalla teoria alla pratica, quando si è trovato a creare un cartello di forze di sinistra, non l’ha chiamato Uniti Possiamo, ma Unite possiamo, Unidas Podemos, perché «anche femminilizzando il linguaggio si aprono più spazi ai diritti delle donne». Per anni ha incarnato il prototipo del politico anticasta, il nuovo esperimento che il professor Iglesias ha messo in incubazione per il politico Iglesias è il «candidato femminista». Iglesias è tra i pochissimi segretari di partito al mondo ad aver preso il periodo di paternità. Quando l’ha fatto, il comando è andato alla compagna, madre dei suoi tre figli. Ora la cessione del ruolo di punta per la corsa al governo. Da sempre, l’ex professore usa una trasmissione web, la Tuerka, per allenarsi ai dibattiti, sperimentare l’effetto degli slogan. Ora che studia da femminista invita le compagne di partito a una sorta di psicoanalisi di gruppo. Loro lo criticano perché quella volta in congresso si è comportato da «gallo nel pollaio», lui, muto, incassa le reprimende e… permette che la scena vada in onda.

«Tutti noi maschi, compreso chi ha responsabilità politiche, continuiamo ad avere molti tic, difetti che derivano dal mondo machista in cui siamo cresciuti. La classe a scuola dove dovevi dimostrarti più forte degli altri. Gli stereotipi dei maschi che seducono perché più potenti di muscoli o di soldi. Un deputato socialista mi ha criticato per aver “piagnucolato”. Che male c’è? Il disprezzo per il maschio che “piagnucola” è retaggio del patriarcato aggressivo che si traduce in modi mascolini di fare politica e avere relazioni umane. Io sono cosciente di questo. Cerco di migliorarmi».

Ci riesce?

«Non sempre. Quel bagaglio di aggressività non te lo togli solo per aver letto Judith Butler o la storia della Libreria delle Donne di Milano. Implica un lavoro interiore difficile accettare le critiche. Ho capito che ci sono stati momenti nella mia maniera di fare politica in cui emergevano quei tic enormemente machisti. Bisogna imparare dalle donne che ci stanno attorno, abbassare le orecchie e dire ci provo».

È sempre meglio essere donna?

«Certo che no. Ogni individuo può essere migliore o peggiore indipendentemente dal genere. Però, organizzazioni politiche, economiche o governi che tendono ad essere diretti da donne riescono a portare una sensibilità umana che fa funzionare meglio l’intera struttura. Senza idealizzarlo come soluzione universale, il femminismo però è la chiave delle prossime trasformazioni sociali».

Perché?

«Perché le donne hanno sempre avuto un mondo più complicato di quello degli uomini. Alle politiche, ad esempio, non è quasi permesso di essere simpatiche perché rischierebbero di passare per deboli. Le si giudica da come si vestono, si pettinano e questo agli uomini non si fa. Io, i miei orecchini e la mia coda di cavallo siamo l’eccezione che conferma la regola. Che mancanza di rispetto è guardare se una politica è più grassa o più magra. Per una donna, arrivare in un posto di direzione è più complicato in qualsiasi ambito, politica, economia, giornalismo. Proprio per questo, però, le donne accumulano tanta di quella esperienza che gli uomini si sognano».

Il paradosso è che con tante donne di potere, la società non è mai stata così eroticizzata come oggi. Seni e sederi più grandi, più esposti, più mercificati.

«Sono processi che vanno in parallelo. La chiave dell’emancipazione femminile è nel controllo della sessualità. Una ha diritto di godere dell’erotismo senza che questo consenta a qualcuno di pensare di violentarla. Le donne non sono oggetti, neppure del desiderio maschile».

Ha tre figli, cosa insegna loro?

«Sono cresciuto con archetipi che voglio risparmiargli. Se uno sarà gay non dovrà soffrirne o essere insultato. Se sarà etero non dovrà impressionare la ragazza per il suo potere o la sua forza. Questo significa cambiare la maniera di educarli e quella in cui tu padre ti comporti. Essere uomini in altro modo. Uomini che piangono, che non gridano, che non alzano le mani su nessuno. E lo dice uno a cui viene naturale arrabbiarsi, perché sono cresciuto così, però non mi sento orgoglioso di questo».

Niente Cenerentola, principe azzurro o Biancaneve, quindi?

«Devono vedere tutto per conoscere, anche L’anello del Nibelungo di Wagner, Hänsel e Gretel, ma allo stesso tempo vorrei insegnagli a destrutturali. Per fortuna ci sono già cartoni con modelli più interessanti perché crescano due uomini e una donna migliori di me».

Non è che questa del femminismo è una vernice nuova per coprire le crepe di un partito in crisi nei sondaggi?

«Assolutamente sì, ma non nel senso che è una finzione o un imbroglio. Il movimento femminista è la nuova grande rivoluzione. Sta avendo un ruolo mondiale paragonabile solo a quello che nel passato ha avuto il movimento operaio. Il femminismo è il presente e il futuro ed è anche più trasversale socialmente dell’operaismo e proprio per questo può realizzare grandi trasformazioni economiche. Mettere l’economia della cura al centro del dibattito, liberare energie prima nascoste. Tutti dobbiamo essere femministi».

Perché la svolta proprio ora?

«Perché la pandemia ha cambiato i paradigmi della politica. Prima del Covid, era un tabù parlare di mutualizzazione del debito, di spesa pubblica e di Stato imprenditore necessario al risveglio dell’economia. Erano temi solo nostri, adesso se ne sono impossessati tutti. È il momento di chiedere di più per l’eguaglianza e la politica sociale e si può farlo solo con il femminismo».


*Ha collaborato Belén Campos Sanchez


(7-Corriere, 2 maggio 2021)

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