27 Novembre 2022
Il Fatto Quotidiano

Petruševskaja, dissidente sempre dalla parte giusta

di Tomaso Montanari


Cosa può insegnarci Ljudmila Stefanovna Petruševskaja? Molto, moltissimo. Per questo l’Università per Stranieri di Siena (della quale chi scrive è rettore) le ha conferito, mercoledì scorso, una laurea honoris causa.

Nata nel 1938, e oggi vitale come una ventenne, questa donna apparentemente fragile e in verità solida come una quercia, è tra i maggiori scrittori russi viventi: narratrice, drammaturga, favolista e poeta, ma anche cantautrice e pittrice. Appartenente a una famiglia di “nemici del popolo” sempre dissidenti rispetto all’ortodossia del potere sovietico, nipote del linguista Nikolaj Feofanovič Jakovlev (interlocutore e amico di Roman Jakobson) e di una nonna che fu corteggiata da Majakovskij, Ljudmila Stefanovna viene dalla più eletta tradizione intellettuale moscovita. Contemporaneamente, è una donna che ha vissuto senza protezioni gli orrori della storia travagliatissima del suo Paese, una donna “che per anni – ha ricordato la russista Giulia Marcucci nella laudatio accademica – non aveva neppure uno vero spazio per dormire, e che sapeva raggomitolarsi scalza nei negozi di alimentari per un poco di cibo, una donna pioniera che ha scritto capolavori che non poteva pubblicare a causa della censura, e ha protetto la sua creatività cantando da bambina nei cortili, e poi, da adulta, traducendo dal polacco e alimentando la circolazione clandestina dei Samizdat”. Rimanendo fedele a questa doppia genealogia di cultura e sofferenza, Petruševskaja ha sempre saputo schierarsi dalla parte giusta. Durante il discorso tenuto in occasione del conferimento di un importante premio letterario, ella continuò una famosa poesia di Anna Achmatova, aggiungendo questi suoi versi: “Io invece dirò: parlate! / Io vi ascolto, mendicanti, perseguitati!”. Quando, nel 2021, Vladimir Putin ha chiuso l’associazione Memorial – prima ong russa che raccoglieva la memoria dei dissidenti –, la nostra scrittrice gli ha platealmente restituito il prestigiosissimo premio di Stato che proprio lui le aveva consegnato nel 2002. In questi mesi, Petruševskaja è impegnata in una tournée del suo spettacolo di cabaret letterario nei paesi che ospitano i ragazzi fuggiti dalla Russia per non combattere: con l’idea commovente di sollevare il morale non delle truppe, ma dei disertori!

Quando, nello scorso febbraio, l’Università per Stranieri di Siena aprì una sezione del suo sito dal titolo Voci contro la guerra (traducendo in italiano, e riproponendo in russo, in modo che se anche cancellate in patria, rimanessero sulla rete, le riflessioni di colleghe e colleghi russi, delle università o della cultura, schierati contro la guerra), il testo più impressionante era un post comparso sulla pagina Facebook di Petruševskaja: “Cari amici, cari voi che mi leggete e mi pubblicate all’estero, in Russia stiamo vivendo un momento terribile, ancora più tremendo di quello vissuto durante la seconda guerra mondiale, quando Hitler ci attaccò. Quella volta il popolo russo, la Russia, i nostri soldati erano sacri per il mondo intero; il nostro sangue era versato a difesa di tutti, e le grandi nazioni venivano in nostro soccorso, prime fra tutte l’America e l’Inghilterra. E in Europa, chiunque aveva un po’ di cervello si dava alla macchia per combattere contro Hitler. Noi, invece, vivevamo nel profondo della Russia. La mia famiglia faceva la fame, io avevo la tubercolosi, chiedevo l’elemosina per strada, cantavo per un tozzo di pane. Avevo sette anni quando la guerra finì. Eppure ricordo ogni cosa! E sono cresciuta orgogliosa del mio popolo. Dei poveri, delle donne che nelle retrovie difendevano la patria con tutte le loro forze. Le loro disgrazie, infatti, sono tutte nei miei libri, nei miei testi teatrali. Oggi la Russia delle donne è stata offesa, è stata umiliata. I generali di Putin la disonorano, la calpestano, le portano via i figli per una guerra meschina e rivoltante … Sono là anch’io, insieme a loro mi nascondo dalle mie stesse bombe! Insieme a loro proteggo dal fuoco i nostri bambini, li proteggo dagli spari dei ragazzi russi; e con loro, con l’Ucraina, mi preparo a fare la fame e a chiedere l’elemosina. … Di questa guerra accuso il criminale numero uno, Putin. Che il sangue dei morti ricada sulla sua vecchia testa, che gli imbratti la faccia e le mani. Accuso lui di questa carneficina. È un assassino”. La regressione al nazionalismo bellicista che oggi attanaglia anche l’Occidente non si combatte certo con la russofobia, ma anzi praticando i valori di internazionalismo, fratellanza tra i popoli, scambio culturale. Per questo è particolarmente prezioso l’esempio di chi sa prendere le distanze dalla propria patria e dal proprio governo, criticandolo, e anche condannandolo, apertamente. Per questo le parole coraggiose e lucide di una grande scrittrice russa contro il governo russo e contro un’idea malata di patria e di nazione, sono davvero un modello anche per noi: e per il nostro rapporto con il potere, la patria e la nazione di casa nostra.


(Il Fatto Quotidiano, 27 novembre 2022)

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