22 Aprile 2022
Il Fatto Quotidiano

Preda della tecnocrazia. “A ottant’anni vengo escluso da parte dell’esistenza”

di Giovanni Pellizzari


L’altro ieri ero all’ufficio postale, in attesa del turno. Entra appoggiata al suo carrello una signora di più anziana di me: deve far scattare il riconoscimento automatico del green pass per ottenere il biglietto col numero. Non ci riesce e nessuno del personale può o sa soccorrerla. Cerco di aiutarla. Alla fine è stata costretta a tornare sui suoi passi, rinunciando. Aveva novant’anni e veniva, con l’autobus, dall’estrema periferia. Sempre allo stesso ufficio assisto alla paziente spiegazione di un impiegato a un uomo di mezz’età. Per ottenere l’appuntamento doveva scaricare un’app, compilare il modulo e non so se spedirlo o inviarne una scansione con la stessa app. L’uomo era sprovvisto di smartphone. Questa invece è toccata a me. Vado in banca perché mi serve una “prepagata”: ho dovuto prima chiedere l’appuntamento per via informatica. Mi riceve una persona gentile. Finiti gli accertamenti mi segnala che sto per ricevere un codice dalla centrale romana: ma scopriamo che il mio telefonino non è “abilitato” a ricevere tali messaggi a pagamento. Chiedo alla consulente se possa sostituirsi a me o se vi sia una via alternativa per ottenere la carta. Scuote la testa desolata e mi consiglia di recarmi nella più vicina sede della Tim per cambiare il contratto. Sono passati mesi e la prepagata non l’ho ancora ottenuta.

Ho ottant’anni, vivo solo, e quasi non passa giorno senza che la morsa della tecnocrazia imperante, in cui gli uomini sono semplici appendici degli algoritmi, non si stringa sempre più, impedendomi di vivere con un minimo di dignità. A ogni accelerata della tecno-rivoluzione permanente, come me, milioni di italiani sono sempre più spinti fuori dai circuiti vitali degli scambi, dei servizi, delle relazioni. Un altro paio di esempi. Chiamo la Guardia medica per un’affezione allarmante e chiedo se sia il caso di effettuare un tampone: ne riconoscono l’opportunità e mi chiedono di scaricare la prescrizione. Cosa che non sono in grado di fare. E ancora: un mio amico ha la passione della montagna. Ex scalatore, in buona forma, ha preso un sentiero CAI a lui noto, che però, a causa d’un recente e non segnalato dissesto idrogeologico, lo ha costretto, verso sera, a chiamare il 118. Bene, anche a lui chiedono di localizzare tramite il telefonino la sua posizione. Lui non ci riesce. Ma, noti, conosceva perfettamente numero di sentiero, località e coordinate del luogo in cui si trovava: alla fine, di fronte all’insipienza inflessibile dell’operatore al telefono, ha dovuto minacciare una denuncia per omissione di soccorso. Ora chiedo: qual è la posizione dei partiti politici (tutti, temo) di fronte a un problema enorme di crescente marginalizzazione di milioni di persone? Diciamo: silenzio totale? E quale consapevolezza c’è di questo sistematico e capillare “abuso istituzionale” nel mondo del giornalismo e dell’informazione? Dobbiamo morire tutti noi, analfabeti informatici, in modo che resti in Italia (e in Europa) solo chi, nato col computer e con lo smartphone, sarà “adatto all’ambiente”? E non è spaventoso questo darwinismo sociale?


(Il Fatto Quotidiano, 22 aprile 2022)

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