22 Settembre 2017
AP autogestione e politica prima

Quando c’è politica, là c’è pensiero. Un incontro al Maggio dei libri a Catania

di Clara Jourdan

 

Catania è una città molto viva culturalmente e politicamente, e in special modo per quella che nel movimento delle donne è stata chiamata politica “prima”, cioè cultura e politica che viene prima delle istituzioni, sta alla base della convivenza civile, è fatta di relazioni e di attenzione a quello che accade e non è delegata ai professionisti ma viene pensata e agita in prima persona da chiunque abbia a cuore il mondo in cui vive. A Catania questo avviene grazie a gruppi e associazioni di donne e di donne e uomini che si spendono in ambiti diversi ma sempre tenendo insieme politica e cultura, come La Città Felice, che da vent’anni anima la città con il senso della differenza sessuale promuovendo iniziative, per esempio i pomeriggi di bellezza in Piazza Federico di Svevia; o come la “Ragna-Tela: rete femminista catanese di donne e uomini affinché ogni violenza sessista abbia fine”, composta da numerose associazioni, comitati, circoli, impegnati sul tema della violenza, della tratta e dell’immigrazione.

Di recente ho incontrato una di queste realtà attive da tempo che ancora non conoscevo, il Comitato Popolare Antico Corso, che quest’anno ha contribuito a organizzare il Maggio dei Libri promosso dalla Città di Catania. Sono stata invitata a partecipare a uno degli oltre cento eventi del Maggio, una conversazione a partire da due libri: L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto di Luisa Muraro (La Scuola 2016) e Scienziate nel tempo. 75 biografie di Sara Sesti e Liliana Moro (Edizioni LUD 2016). La serata, dal titolo Quando c’è politica, era stata ideata e proposta al Comitato da Cettina Tiralosi, femminista di formazione matematica che lavora nei musei cittadini ed è lei stessa artista digital painter, che spiega così l’accostamento insolito dei due libri: «quello della Muraro come esempio di linee guida per affrontare politicamente con il taglio della differenza qualsiasi argomento di scienza o di altra disciplina che ci pone davanti una minaccia verso la relazione materna, l’altro della Sesti e della Moro come esempio di ricostruzione della genealogia femminile in ambito scientifico e in società». In effetti, è proprio la politica che ci permette di non lasciarci schiacciare dai cambiamenti scientifici e tecnologici come da quelli economici che ci sovrastano, e il ricostruire una genealogia femminile ci mette sulla giusta strada. Ma come camminare? «Svegliamoci e mettiamoci a pensare»! titola Luisa Muraro un capitoletto del libro L’anima del corpo: «Il punto non è d’impedire agli esseri umani di far cose meschine o crudeli, stupide o sbagliate. Il punto è di non accettarlo, di pensare a quello che facciamo, pensarci anche prima e non giustificare il malfatto né farci l’abitudine. Civiltà e umanità stanno appese al nostro non accettare di fare così o colà indifferentemente. E a ricordarci del malfatto e dei misfatti».

Questo incontro è stato davvero un’occasione per pensare insieme, e la discussione, a cui hanno contribuito tutte e tutti i presenti e che è poi continuata a tavola con il cibo preparato dalle amiche e amici del Comitato come è loro uso, si è sviluppata soprattutto sulle questioni della libertà e dell’indisponibile, temi che ci toccano in prima persona, e riguardano la civiltà in cui viviamo. Una civiltà che può essere compresa più profondamente con l’aiuto delle biografie di scienziate di epoche precedenti, al cui impegno per la libertà in contesti ostili alle donne e al cui lavoro per il progresso della scienza (l’«espansione del possibile», con parole di Luisa Muraro), dobbiamo molto: emblematica l’importanza di Ada Lovelace, la matematica che nel 1843 elaborò un algoritmo considerato il primo programma informatico della storia.

Sull’oggi, in particolare si è ragionato su due aspetti sottolineati nel libro di Luisa Muraro: la concezione neoliberista della libertà, che consegna la nostra libertà al mercato e alla tecno-scienza, viene veicolata con tutti i mezzi e ci fa credere che più possibilità di scelta abbiamo più siamo libere e liberi («Un equivoco madornale»). E la necessità di «accrescere la competenza simbolica così da imparare a discernere, nell’area del possibile, tra il disponibile e quello che tale non è», considerando «indisponibile quello che va tenuto a disposizione del di più che è la gioia del vivente. Fa parte di una nuova coscienza evolutiva imparare a rinnovare le barriere simboliche che proteggono l’essere umano in quanto destinato alla felicità», conclude questo libro la cui tesi sulla «riproduzione umana per interposta persona» è: «La madre è sostituibile ma non lo è la relazione materna».

Non ci troviamo davanti un compito facile ma è indispensabile impegnarci nel discernimento, e i vari interventi hanno articolato tale necessità. Perché si tratta di questioni che ormai ci si pongono concretamente. La situazione attuale di «espansione del possibile» ci porta nella vita di tutti i giorni esperienze inedite, come quella raccontata da Mirella Clausi dell’incontro con una bambina che esprimeva la sua rabbia per avere due papà e nessuna mamma. Come metterci in relazione con realtà come queste quando ci capitano?

Anche il luogo fisico in cui si è svolta la serata ha contribuito a ricordarci di stare in una dimensione problematica e storica: eravamo alle Officine GammaZ, una suggestiva piccola galleria d’arte in una ex officina di biciclette di un vecchio edificio a più livelli costruito sui ruderi di antiche costruzioni e rocce laviche attorno a un orrido in fondo al quale si scorge un pozzo dove secondo la leggenda si buttò una fanciulla (Gammazita) in fuga da uno stupratore.

(AP autogestione e politica prima, luglio/dicembre 2017)

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