di Anna Lombardi
Il caso Weinstein ha riportato al centro dell’attenzione il tema della violenza sulle donne, dei silenzi e della difficoltà di denuncia che caratterizzano ancora la società in modo trasversale. La scrittrice americana affronta la questione femminile e dei diritti
“No, le molestie non sono solo questione di sesso. Il sesso è una delle tante forme usate per sottomettere le donne”. Rebecca Solnit, 56 anni, con i suoi scritti ha esplorato gli aspetti più diversi della realtà: dal modo in cui camminano i potenti in Storia del camminare fino a Un paradiso all’inferno su come reagiamo ai disastri. Solnit, però, è anche l’autrice femminista di saggi come Gli uomini mi spiegano le cose, appena pubblicato in Italia: dove affronta il fenomeno del ” mansplaining”, paternalistico modo di mettere a tacere le donne. Prende spunto da un episodio reale: quando a un party qualcuno cercò di spiegarle l’importanza di un libro da lei scritto, non credendo che l’autrice potesse davvero essere la donna che aveva davanti. Riscoperto in America dopo la vittoria di Donald Trump, da noi arriva nel pieno dello scandalo legato al produttore Harvey Weinstein.
Il suo libro è sempre attuale: ogni volta, purtroppo, in modo nuovo.
“Quando si parla di violenze sulle donne, se ne parla sempre come di fatti isolati. Ma basta sfogliare i giornali per capire che non è così. Non ci sono solo le attrici: ricercatrici denunciano i professori, infermiere i medici, soldatesse i commilitoni. Le molestie sessuali mettono tutte sullo stesso piano. Ognuna ha una sua storia: che è sempre la stessa storia. Altro che casi unici: la violenza sulle donne è un’epidemia, frutto di una cultura radicata. Per questo è fondamentale creare anticorpi nella società”.
Oggi tante denunciano. Dopo decenni di silenzio…
“La cultura dominante considera la parola delle donne meno credibile di quella degli uomini. Immaginano le cose, si dice. Sono vendicative. Per questo tante hanno taciuto così a lungo. Ora le cose stanno cambiando. Ad Hollywood, nella Silicon Valley, negli uffici, gli uomini si dicono: non possiamo continuare così. Lo stesso le donne: non possiamo più restare in silenzio”.
Non trova che le donne hanno una parte di responsabilità nell’aver accettato un modello culturale sbagliato così a lungo?
“È qualcosa su cui sto riflettendo, forse sarà il tema di un nuovo saggio. Sì, siamo tutte cortigiane. E non perché ci piaccia ma perché ci hanno inculcato che gli uomini vanno compiaciuti e rassicurati: sempre. Poche, compresa me, sfuggono”.
Si può cambiare?
“Certo. Quando sono nata io, nel 1961, le donne erano prive di diritti basilari e in tanti casi il matrimonio era una relazione serva- padrone, dove i mariti controllavano soldi e figli, le violenze domestiche erano cose private. Dobbiamo guardare al cambiamento, considerarlo nel lasso di tempo giusto. Poi, il nostro è il migliore dei mondi possibile? No. È migliore di quello che era? Sì”.
È ottimista?
“No. Ma ho speranza. Quella che mi spinge a scrivere per ricordare alla gente che agendo si cambiano le cose. Tutte queste donne che alzano la testa, questa solidarietà nuova: servirà a non tornare indietro. Perché sia chiaro: gli Harvey Weinstein sapevano cosa facevano, forti della capacità di colpire chi si ribellava. Tante hanno taciuto? Dal mio punto di vista hanno semplicemente resistito in ” surviving mode”, modalità di sopravvivenza. Per prevenire ciò che gli sarebbe costato troppo dolore: il linciaggio di quel mondo, dei giornali, di Twitter. Ora qualcosa si è rotto. E non ho dubbi: avrà conseguenze”.
Cosa intende?
“Quel che accade è parte di una rivoluzione femminista che sta mettendo in crisi il principio millenario che quel che vogliono gli uomini conta più di quel che vogliono le donne. Diciamocelo chiaro: sarebbe stato bello che una volta introdotta l’idea radicale che le donne sono persone con diritti inalienabili tutti avessero concordato e avremmo potuto occuparci d’altro. Invece le donne hanno continuato a sprecare energie nello sforzo di imporsi o di evitare ambiguità e molestie. E chissà quante scoperte, romanzi, inchieste giornalistiche abbiamo perso per questo motivo”.
Parla di rivoluzione femminista: ma non la colpisce che il maschilismo non ha colore politico? Weinstein, per esempio, è un democratico.
“Gli uomini di sinistra dovrebbero essere più femministi? Certo. E senz’altro molti si riconoscono in un sistema di valori che rispetta le donne. Per altri i “privilegi maschili” restano il valore più forte. È come il razzismo. Quanti, fra coloro che si proclama antirazzisti, poi non vogliono mettere in discussione i “privilegi dei bianchi”?”.
Si dice che anche Hillary Clinton sapeva. E ha taciuto.
“In America ormai è tutta colpa di Hillary Clinton. Chissà perché, si affibbia sempre alle donne la responsabilità dei comportamenti sbagliati degli uomini”.
Prossimo passo?
“È quello che le donne stanno già facendo. Tutto questo parlare: è già agire”.
(Repubblica, 19 ottobre 2017)