9 Luglio 2022
Il Quotidiano del Sud

Rita Atria, la settima vittima di via D’Amelio

di Franca Fortunato


In ricorrenza della strage di via D’Amelio (19 luglio 1992) in cui la mafia uccise il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, Graziella Proto direttora della rivista Le Siciliane, Nadia Furnari co-fondatrice dell’Associazione Antimafie Rita Atria e Giovanna Cucé giornalista Rai hanno pubblicato il libro Io sono Rita. Rita Atria: la settima vittima di Via d’Amelio, edito da Marotta &Cafiero. Tre donne di generazioni diverse, accomunate dal desiderio di trovare risposte al dubbio che quello della testimone di giustizia Rita Atria non sia stato un suicidio, come è stato derubricato e archiviato troppo in fretta. Un libro-inchiesta che indaga sulla morte della diciassettenne che il 26 luglio 1992, pochi giorni dopo la morte di Borsellino, per lei come un padre, si è buttata dal balcone dell’appartamento dove da pochi giorni era stata trasferita dall’Alto Commissario dell’Antimafia che ne aveva la tutela, da quando dalla Sicilia era stata portata a Roma, in località protetta, sotto falso nome. Le tre autrici entrano negli archivi, studiano gli atti giudiziari “sui quali il Viminale per la prima volta ha tolto il segreto”, leggono il fascicolo del tribunale di Roma, scoprono lacune, carenze, assenza di approfondimenti, e alla fine si persuadono che quella morte non è del tutto chiara e convincente e che qualcosa nel sistema di protezione non ha funzionato come doveva. Leggono lettere inedite, il diario e il quaderno pieno di appunti che Rita ha lasciato nella sua stanza, ne ricostruiscono i mesi di vita in clandestinità, raccontano la mafia di Partanna, piccolo comune della valle del Belice, paese natio di Rita, attraverso il racconto della giovane. Rita diventa testimone di giustizia non per combattere la mafia ma solo per amore del padre, don Vito, e del fratello, Nicola, entrambi mafiosi, uccisi “all’interno di faide e logiche della mafia locale capeggiata dalla famiglia Accardo”, legata ai corleonesi. Alcuni mesi prima, per paura, aveva fatto lo stesso la cognata Piera Aiello, testimone dell’uccisione del marito. Rita è arrabbiata, denuncia, parla di mafia, del padre riferisce crimini, soprusi, violenze e tradimenti nei confronti di sua madre, Giovanna Cannova, e solo mentre racconta si rende conto che era stato un mafioso, un “uomo d’onore”, come suo nonno, e che non era l’“eroe”, il “pacere”, che credeva che fosse. Scopre che era un trafficante di droga mentre credeva fosse stato ucciso perché si opponeva all’entrata della droga a Partanna. Chiede giustizia per il fratello che lei adorava, ucciso perché aveva tentato di sganciarsi dagli Accardo e trafficare droga in proprio. Era convinta che il padre e il fratello fossero «persone speciali», «le uniche, oltre alla sorella lontana, che le volevano bene, la capivano, la coccolavano». Della madre, invece, Rita pensava fosse una donna dura, distante, incapace di amarla. Eppure, come emerge dal libro, aveva fatto del suo meglio per quella figlia, aveva voluto che studiasse mandandola a scuola a Sciacca, aveva tentato di staccarla dal fratello spacciatore, aveva contrastato la sua scelta di testimone non per mafiosità, non cercava vendetta, ma perché non voleva perdere anche lei, non volle seguirla nella clandestinità forse perché pensava che quei due uomini non meritassero tanto sacrificio. Dopo la sua morte, ai cui funerali Rita aveva lasciato scritto di non volerla, per diciassette anni non si è data pace e questa volta è stata lei a chiedere invano giustizia per la figlia, non convinta del suo suicidio. Io sono Rita è un libro di ombre e luci, di interrogativi e dubbi, unico ed inquietante.


(Il Quotidiano del Sud, 9 luglio 2022)

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