23 Febbraio 2022
Via Dogana

Ritorno nel mondo ex comunista – Esplorazioni estive di Laura Minguzzi

di Laura Minguzzi


Riproponiamo questo articolo pubblicato sul numero 91 di Via Dogana nel dicembre 2009 per comprendere meglio quello che succede oggi in Ucraina.

La redazione del sito


Che senso ha passare le vacanze in Ucraina? Le badanti in agosto tornano a casa e io, accompagnata da mio marito, voglio andare a vedere come vivono Tatjana, Olga, Galina, Marianna, Alioscia, Sergej, Dimitrij dopo la sconfitta del comunismo e la vittoria della rivoluzione arancione del 2004. Esplorazioni estive le chiamava Simone Weil nel ’38, per misurare la temperatura del tempo presente. Lei in quell’anno andò in Germania per capire cosa stava succedendo, cosa si stava preparando e perché. La forza del potere di uno dei tanti, immaginata propria, dal popolo. Immaginazione e realtà si confondono e si autodistruggono. Non si potenziano a vicenda, non mantenendo la dovuta distanza. Il vuoto fra l’una e l’altra è necessario affinché si crei conflitto e quindi scambio. Durante la preparazione del viaggio nella mia mente si affollano immagini letterarie, politiche, storiche e domande senza risposta.

Tatjana è il presente, mi ha invitata a Kharkov, ci scriviamo da novembre dell’anno scorso. Uno scambio virtuale nato grazie al sito della Libreria. Voglio conoscerla e sentirla parlare del suo progetto di museo di storia delle donne, per ora esistente solo on line da marzo di quest’anno. Mi ritorna in mente che una volta mi chiesero se avevo sentito parlare di Babyn Yar. Avevo vent’anni e non lo sapevo. Adesso potevo vedere questo luogo. Poi avevo letto che Lou Salomé e Rainer Maria Rilke erano andati insieme a visitare la Lavra di Kiev, il Monastero Maggiore delle Grotte e lei ne aveva un ricordo emozionante. E la fontana di Bachcisaraj in Crimea, fin da piccola questo nome mi aveva sempre fatto immaginare luoghi di una felicità senza confini. Jalta, la spiaggia di Koktebel, dove passava l’estate Marina Cvetaeva.

«Lei è comunista!». Così esordisce un mio allievo di quinta ginnasio, appena dopo qualche mese di scuola. Figlio di una ricca famiglia borghese, poca voglia di studiare, si assenta spesso per brevi vacanze esotiche, costretto a scegliere una scuola classica per ragioni di status; colpisce nel segno il suo istinto animale di giovane arrampicatore. Ha fiutato il nemico che gli sbarrerà la strada della sua scalata al diploma grazie ai soldi. Beh! aveva ragione. Io ci tengo tantissimo allo studio, alla curiosità, all’importanza di farsi domande e andare a cercare le risposte per il mondo. Ecco trovato il senso del mio viaggio con la storia, obbedisco a un’ispirazione, a un imperativo categorico interiore e mi lancio.

Dall’aeroporto telefono a Olga e alla stazione ferroviaria di Kiev ci incontriamo. Insieme al fratello Alioscia mi aspettano con il biglietto per il vagone letto del treno notturno, che mi porterà a Odessa. Olga è una giovane psicologa che lavora in un istituto di ricerca e fa sondaggi e statistiche per organismi istituzionali; il sabato, invece, riceve i/le pazienti in colloqui privati. Questo è il lavoro che le piace di più; ricerca le cause della sofferenza delle donne e degli uomini che ha in terapia. «Li spingo a riflettere sulle ragioni della loro infelicità, sulla violenza, sull’autodistruzione (alcolismo), soprattutto gli uomini, a cercare un senso alla propria vita, a guardare la realtà con occhi nuovi e darsi un futuro». «Ci sono uomini che hanno tanti soldi e sono violenti e io li voglio portare a chiedersi quali sono i loro reali desideri. Uno mi ha detto che avrebbe voluto fare l’insegnante e invece si trova a fare tutt’altro, e pur guadagnando bene non è contento e l’insoddisfazione lo rende violento, soprattutto verso le donne». Olga mi parla anche di un suo recente saggio sulla pericolosità del traffico per le strade, a causa dell’aggressività degli uomini al volante, che non rispettano alcuna regola e costituiscono per le donne una vera e propria minaccia. Un’esibizione di virilità che provoca parecchi incidenti e traumi alle donne. Ciò che ha scritto è, infatti, frutto dei racconti delle sue pazienti. Il lavoro dipendente sull’interpretazione dei dati statistici, secondo lei, è una pura finzione, dato che tutto viene manipolato dai suoi superiori per potere ottenere finanziamenti. Sia lei che il fratello collaborano con Tatjana nella rivista Ja (Io) e al museo di storia delle donne.

Il giorno seguente alla stazione di Odessa molte donne ci vengono incontro con cartelli, offrono stanze, appartamenti in affitto ai turisti che scendono dal treno. La città è deserta, dorme, strade pulite, lavate, come ai vecchi tempi sovietici, anche se parecchio malandate… L’amico taxista ci accompagna e al secondo appartamento che ci propongono ci accordiamo sul prezzo.

Camminando a piedi, ovunque cantieri, si cambia volto alla città, ma l’atmosfera mi pare sempre quella del film. Chi ricorda la scena della famosa scalinata nel film La corazzata Potëmkin con la carrozzina che precipita può capire la sensazione. Tutto è cambiato, ma quella è rimasta intatta, lì c’è come un fermo immagine: una drammatica accelerazione verso l’ignoto.

Alla televisione una pubblicità mi colpisce: propongono prodotti contro la diarrea. In Italia è martellante una pubblicità esattamente contraria: prodotti per la stitichezza… intestino pigro? Ecco la soluzione e via… Cosa c’è che non va qui? Il cibo è sempre lo stesso di tanti anni fa. Ottimo caviale fresco, pane nero di segale buonissimo, brioche con i semi di papavero eccellenti, budini con le bacche di bosco fresche, storione, patate al forno ripiene squisite, kvas venduto dalle botti, dissetante e fresco, birra, vino locale, acqua borzhomi, georgiana, la migliore del mondo. Osservo la gente e vedo molte donne che comprano capienti taniche d’acqua, uomini che caricano nelle macchine enormi quantità di bottiglie d’acqua… Ci sono arrivata: l’acqua del rubinetto non è più potabile come allora, la manutenzione dell’acquedotto non esiste più. Un bene pubblico, l’acqua corrente e potabile nelle case, è scomparso insieme al comunismo…

Da Odessa a Simferopoli andiamo in treno. Le stazioni sono vive e affollatissime, aperte tutta la notte e i treni notturni molto frequenti. Qui amano viaggiare in treno, anche se la velocità non supera i 60 all’ora, causa binari obsoleti. A Jalta, in Crimea, mi aspetta Galina che mi fa conoscere Ljuba e Alla. Ci vediamo al bar per il tè delle cinque. Mi parlano del loro impegno nel club femminile Jaltinka. Si riuniscono nel ristorante di un’amica, che è anche socia del club, e lì discutono di tutto, dai loro problemi di lavoro, ai problemi dei figli o delle figlie, del crollo di tutto il sistema, della rivoluzione arancione, si scambiano informazioni, consigli e aiuti materiali. Organizzano anche brevi viaggi insieme che chiamano “i nostri ritiri spirituali”, in cui si rigenerano. Ljuba è un’imprenditrice edile e dal ’91 si occupa della vendita di alcuni lotti di case comunali ai privati. Oggi fa anche l’amministratrice dei condomini che lei stessa ha contribuito a formare, perché ha dovuto anche educare alla gestione collettiva e responsabile delle parti comuni delle case di proprietà, tenuto conto che prima del crollo di tutto il sistema sovietico, quando la proprietà era collettiva, di tutto si occupava l’amministrazione comunale.

Alla assomiglia più allo stereotipo della donna emancipata, solida, possente, “tedesca”, tutta d’un pezzo. Vedova, due figlie, esperta in scienza delle finanze. Dal ’92, anno di massimo caos economico dopo il crollo dell’Urss, è a capo della rete di distribuzione alimentare di Jalta e dintorni. È riuscita con le sue doti manageriali a riportare l’ordine in un momento di totale disordine e crollo dell’economia. Dal 2001 dirige anche il mercato cooperativo alimentare della città che oggi ha superato la crisi e ripianato tutti i debiti accumulati e ha il bilancio in attivo. Alla e Ljuba vogliono sapere cosa faccio io. Racconto della nostra politica, a loro interessa sapere come la società si rapporta al movimento femminista, lesbico, se sono ben accette le donne che vivono cercando di realizzare liberamente i propri desideri. Mi rendo conto che le tre donne con cui io sto conversando attorno al tavolo sorseggiando tè con pasticcini sono vedove con figli e figlie grandi e sono più giovani di me. Chiedo a Galina una spiegazione. «Sai, qui gli uomini muoiono presto, la media è di 51 anni. Non hanno retto al cambiamento storico». Capisco meglio il loro interesse per sapere come da noi sono giudicate le donne, cosa si pensa del femminismo e della libertà femminile. Dal canto loro sentono il peso di uno sguardo maschile, di un giudizio sociale che insegue ancora una visione conformista del destino femminile.

A Kharkov ne parlo con Tatjana, sedute sulla panchina del giardino del Monastero dell’Intercessione, mentre ammiriamo fra lo stupore e la meraviglia il passaggio di giovani donne che vanno alla messa del pomeriggio. Mi pare di essere a una sfilata di moda a Milano. Alte, slanciate, bionde, magre, vestite all’ultima moda, gonne cortissime, tacchi altissimi, ma col capo coperto, come vuole la regola ortodossa, vanno in chiesa. Tatjana vive con la madre, è separata e ha una figlia adulta che vive e lavora come grafica a Kiev. Suoi sono i fumetti del numero speciale della rivista Ja (Io) del 2008 dal titolo “Il femminismo è…”. Per chi o per cosa chiederanno mai l’intercessione? Commentiamo.

Anche a Kiev, al Monastero Maggiore delle Grotte abbiamo assistito a una singolare cerimonia: una lunga teoria di donne, pochi gli uomini, che sostavano in due ali con cestini di frutta e rami di erbe officinali in attesa della benedizione del pope che sarebbe passato alla fine della messa nel grande cortile davanti alla cattedrale della Dormizione. Una rappresentazione arcaica di una cultura contadina che manifesta l’amore per la terra; una terra scura, che si estende per lunghe e immote distanze in un orizzonte che non incontra ostacoli.

Le giovani donne vogliono tutto, mi dice Tatjana. Lei per prima col suo progetto di Museo della storia delle donne è stata in America, dove ha ricevuto un primo finanziamento dalla biblioteca del congresso e si prepara ad andare a un incontro a Bonn con altre donne riunite in una rete di associazioni e gruppi che si occupano appunto di storia. A Kharkov ha presentato il progetto a varie istituzioni e collabora con le scuole in un programma politico di sensibilizzazione alla differenza di genere. Qui si innesta il mio scambio con lei a proposito della differenza di pratiche del nostro movimento per l’autoriforma. Piuttosto che partire dall’alto, dai programmi ministeriali, è meglio coltivare le relazioni e focalizzarsi sulla lingua. La colpisce la mia insistenza sull’uso del femminile riguardo alle professioni nel corso del nostro conversare sulla realtà quotidiana mentre facciamo cose insieme. La visita a una mostra di una pittrice norvegese ospite di una galleria di un’amica, che, mi dice, invita sempre artisti/e interessanti e originali, un luogo molto stimolante nel panorama cittadino, diventa un’occasione di riflessione sulla lingua e sull’arte femminile. La gallerista è un’amica con cui ha relazioni da lungo tempo e ci tiene a farmela conoscere. Per noi in Italia è stato ed è molto importante non parlare in modo neutro e assumersi il proprio essere donna. Da tempo lo facciamo e pare che non si possa mai smettere, perché c’è come un risucchio nell’indifferenziato appena si dà per scontato qualcosa e ci si ferma. Per Tatjana è una riflessione che le crea qualche difficoltà, come frenata e impedita dal discorso del genere. Occorre, infatti, uno spostamento, dall’occhio puntato verso il potere, con cui il “genere” e la parità condividono il mondo maschile in un estenuante sforzo di spartizione, alla realtà delle effettive potenzialità delle relazioni che si hanno e si agiscono. L’amore per la realtà spinge a nominare le relazioni e a far conto su di loro, più che a cercare di convincere i vari funzionari o funzionarie regionali o provinciali o ministeriali della necessità di un luogo materiale dove collocare il suo museo delle donne, che per ora esiste in rete. Le hanno dato ascolto e visibilità mediatica in occasione dell’8 marzo, ma poi, si rammarica, ha riscontrato un calo di interesse e un vano rimandare appuntamenti e incontri. Anzi abbiamo notato che sulla questione della violenza alle donne la città era invasa da manifesti colorati, una campagna di sensibilizzazione, conforme a una direttiva europea, da cui certamente il governo aveva ricevuto contributi, ma assolutamente non frutto di momenti di riflessione e discussione fra la gente, uomini e donne. Anche in Italia si sta verificando una sorta di statico ritualismo su questa questione della violenza, un ripetersi delle parti in gioco, di ruoli, senza una reale pratica di ascolto.

Quello dell’adesione del paese all’Europa e alla Nato è un punto di dibattito molto appassionato. A fronte di un crescente sentimento nazionalista, a causa della proclamazione dell’autonomia dalla Russia nel 2004, si sente e si vede un piegarsi e un dispiegarsi a forme di politica di schieramento, assai poco vicine ai bisogni materiali e simbolici della gente comune. Ho assistito nella famosa Piazza Majdan (della Libertà, quella che nel dicembre del 2004 mostravano ogni giorno i nostri media) ai preparativi per l’anniversario della liberazione e in sostanza era un dispiegarsi di esercitazioni di forza militare, in terra e in cielo. Discorsi dagli altoparlanti che arringavano la folla e proclami di amore di patria fatti in coppia dal capo del governo e dal metropolita. Tatjana e le altre cercavano di minimizzare, ma in fondo la gente non ci sta a queste lacerazioni, a questi schieramenti pro o contro la Nato, pro o contro la Russia. È tutta una questione che riguarda chi ha il potere. Ebbene sì, Tatjana e Marianna hanno l’ufficio nei primi grattacieli costruiti a Kharkov negli anni ’30, luogo di potere di uomini, dove pare che abbia lavorato al tempo della Ceka il capo del KGB Feliks Dzeržinskij. E come sintetizza in modo lapidario il taxista che ci porta alla stazione ferroviaria di Odessa, «non sappiamo per chi votare: non c’è possibilità di scelta». Marianna studia italiano e parla inglese e tedesco. È una giovane laureata che già lavora e molto fiduciosa nelle sue potenzialità. Ci ha scritto di avere trovato un nuovo lavoro, di avere lasciato il vecchio grattacielo stile sovietico e che continuerà a leggere libri italiani per approfondire la nostra conoscenza.


(Via Dogana n. 91, dicembre 2009)

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