25 Giugno 2020
Il Quotidiano del Sud

RU486: quando l’essere donna non fa la differenza

di Franca Fortunato


La delibera della presidente regionale dell’Umbria, la leghista Donatella Tesei, con cui ha fatto un passo indietro rendendo l’aborto farmacologico con la Ru486 da in day hospital a ricovero forzato per tre giorni, come previsto dal 2009 dalle linee guida del ministero della Salute che lascia alle Regioni la scelta del day hospital, è l’esempio di quando l’essere donna nelle istituzioni non fa la differenza. Il primo ad applaudirla, non a caso, è stato il commissario della Lega umbra Simone Pillon, nemico dichiarato delle donne e della 194 che nel 2018 ebbe a dire: «Via l’aborto, prima o poi in Italia faremo come in Argentina (dove l’aborto è reato)». Il leghista Lorenzo Fontana da ministro della Famiglia nello stesso anno aderì al comitato No 194, Lega e Fratelli d’Italia parteciparono alla “Marcia della vita” per chiedere l’abolizione della 194, entrambi hanno presentato mozioni in vari consigli comunali per chiedere di finanziare associazioni cattoliche contrarie all’aborto. Il Sindaco leghista e la sua Giunta di centrodestra di Perugia, a pochi giorni dalla Tesei, hanno approvato un ordine del giorno per chiedere alla Regione un intervento finanziario urgente per dissuadere le donne “in difficoltà” ad interrompere la gravidanza.

E dire che la presidente dell’Umbria vorrebbe farci credere, come il suo amico Pillon, che l’abbia fatto per “tutelare la salute della donna” e non per renderle difficoltoso l’accesso all’aborto farmacologico che, se fosse pienamente praticato (20,8% nel 2018), darebbe un duro colpo all’obiezione di coscienza (69% di ginecologi, 46,3% di anestesisti, 42,2% di personale medico, secondo i dati 2018). Quali donne le hanno detto di sentirsi meno sicure in day hospital, che tra l’altro è presente solo in quattro regioni, non in Calabria, mentre in Sicilia la RU486 non è mai arrivata? Lo sa che molte disattendono l’obbligo del ricovero e firmano per uscire poche ore dopo aver assunto la prima pillola per poi tornare per la seconda (le pillole sono due e non una) e infine per il controllo? A chi risponde la presidente Tesei? Che cosa hanno da guadagnare le donne da una maggiore presenza femminile nelle istituzioni, come chiedono alcune anche in Calabria?

Il non voto di molte alle donne avrà pure un senso, o no? Il fatto che non ci siano mai state grandi manifestazioni di piazza per la doppia preferenza, come quelle in difesa della 194, contro la violenza maschile sulle donne, contro il Ddl Pillon, avrà pure un senso, o no? Alle ultime regionali, caduta nel vuoto la mia proposta ad altre di candidare Jasmine Cristallo alla presidenza della Regione, avrei voluto dare la mia preferenza a due donne, ma la legge elettorale me ne ha imposta una. La prossima volta non vorrei essere costretta a votare un uomo, per poter votare una donna. Chi rivendica più donne nelle istituzioni con il marchingegno della doppia preferenza, se lo fa per il bene delle altre, non sarebbe il caso di dire anche: quali donne, con quali rapporti tra loro e con gli uomini, per fare cosa? Se una donna tenta di boicottare la RU486, un uomo, il ministro della Salute, Roberto Speranza, chiede al Consiglio Superiore di Sanità un parere perché, dopo dieci anni, si cambino le linee guida e l’aborto farmacologico, come avviene in Europa e come chiedono le donne, possa essere fatto in day hospital, in ambulatorio, nei consultori, fino a 9 settimane di gestazione e non le 7 attuali. In Francia, Inghilterra e Irlanda è il medico curante che segue la donna e le prescrive la RU486.


(Il Quotidiano del Sud, 25 giugno 2020)

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