4 Maggio 2021
La Stampa

Scegliere il proprio genere? L’Italia si spacca in due ma prevale il fronte del no

di Marina Terragni


Il sondaggio che vedete (realizzato in crowdfunding da associazioni femministe tra cui Se Non Ora Quando, RadFem Italia, non poche della Libreria delle donne, Udi e altre) non misura il generico consenso al ddl Zan ma punta l’obiettivo sul vero core del ddl: l’identità di genere, la libera percezione di sé a prescindere dal sesso di nascita – anzi, come si dice oggi: attribuito alla nascita – totalmente dematerializzato. La battaglia sull’identità di genere ha corso in mezzo mondo: Spagna, Germania, per arrivare al Perù. In Gran Bretagna si è chiusa con la sconfitta dei sostenitori del genere percepito. Le ingiustizie subite da Malika o dai due ragazzi che si baciano in metrò: si pensa a questo quando si ragiona sul ddl, non all’identità di genere. Il sondaggio mette invece a fuoco tre aspetti della questione, a cominciare dal “self-id” o libera autocertificazione di genere con un semplice atto all’anagrafe, senza perizie o sentenze: netta la maggioranza dei contrari, 66%, con lieve prevalenza degli uomini, dei più giovani e dei più scolarizzati. A favore solo il 20%; il 14% non si pronuncia. Con notevole impatto sociale, il “self-id” è già legge in Canada, a Malta e in altri Paesi. Farmaci bloccanti della pubertà per i minori in attesa che decidano il proprio genere: anche qui nettissima prevalenza dei contrari (66%), scendono al 13% i favorevoli, 21% gli incerti. Il blocco ormonale della pubertà – pochi lo sanno – è autorizzato in Italia con semplice perizia medica. In Gran Bretagna invece serve l’ok di un tribunale: la svolta dopo l’aumento esponenziale, + 4000% in pochi anni, di transizioni tra bambine (soprattutto) e bambini, e dopo la causa vinta dalla giovanissima detransitioner Keira Bell contro il Servizio Sanitario Nazionale. Intervistato pochi giorni fa dal Guardian, lo psichiatra David Bell, già in servizio presso il servizio di Sviluppo dell’Identità di Genere (GIDS) alla Tavistock Clinic di Londra, ha affermato che i bambini, spesso avviati frettolosamente alla terapia, in molti casi «sono gay… alcuni sono depressi» o soffrono di «anoressia, autismo o hanno alle spalle una storia di traumi». Infine, la partecipazione delle atlete trans agli sport femminili: caso noto in Italia, la velocista paraolimpica Valentina Petrillo. Anche qui una maggioranza di contrari: 56% (69% fra gli uomini, normalmente più attenti allo sport), 30% i favorevoli, 14% i non so. Negli Usa è una questione politica di primissimo piano. Nelle prime 24 ore del suo mandato Joe Biden ha emesso un executive order che ammetteva le atlete trans negli sport femminili: la battaglia negli Stati infuria, la rete globale Save Women’s Sport combatte, molte atlete T si preparano alle Olimpiadi. Proprio in queste ore è al centro di un furioso shitstorm l’icona trans Caitlyn Jenner, già campione olimpico di Decathlon, patrigno di Kim Kardashian e in lizza per il governo della California. E solo per avere detto, da atleta, che le pare sleale che le trans gareggino con le donne. L’identità di genere è questo, e sta al centro del ddl Zan. Quanti lo sanno? Approvato frettolosamente alla Camera in novembre, quando si riempivano le terapie intensive, il ddl si prepara per il rush finale al Senato. «Quel testo non si modifica!», Monica Cirinnà chiude un dibattito mai aperto. Temi sensibili come divorzio, aborto e fecondazione assistita hanno impegnato la società italiana a discutere per anni. L’identità di genere è tema ancora più sensibile, ha a che fare con la sessuazione umana e con la materialità dei corpi ridotta all’insignificanza: una vera rivoluzione antropologica. Nel 1984 Ivan Illich, padre dell’ecologismo europeo, profetizzava l’annullamento della differenza sessuale, «cambiamento della condizione umana che non ha precedenti». Il mercato richiederà il neutrum oeconomicum, soggetto fluido, flessibile, fungibile. Una «scomparsa del genere che degrada le donne più ancora degli uomini», il linguaggio sarà «contemporaneamente neutro e sessista». Con buona pace della senatrice Cirinnà, qui c’è davvero molto da discutere.


(La Stampa, 4 aprile 2021)

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