30 Dicembre 2023
Io Donna

Sentinelle sociali contro la violenza sulle donne. Uomini, ora tocca a voi

di Paola Centomo


Spinta dal coraggio e dall’esempio di Gino Cecchettin, nei cortei del 25 novembre c’è stata per la prima volta un’alta partecipazione maschile. Un episodio che va oltre l’onda dell’emozione e segna il primo, timido passo di un cambiamento. Ce lo spiegano alcuni di loro, impegnati a vario titolo a operare un salto di qualità. Convinti che, «anche se si è persone perbene, si fa parte di un genere che la violenza la esercita»


Un mese fa, un 25 novembre molto diverso da quelli venuti prima ha colmato le piazze del Paese, trasfigurandole in maree umane che mai avremmo detto. Una sorta di miracolo collettivo, perché non si erano mai viste moltitudini sfilare in nome di una donna uccisa dal suo ex e in nome delle tantissime finite come lei, e perché quelli che sino a quel momento si erano tenuti fuori – gli uomini – quel giorno, invece, avevano voluto essere proprio lì, insieme. Uomini chiamati dalle parole di un padre che diceva una cosa evidente, in fondo: la violenza sulle donne è un problema che chiama in causa gli uomini, tutti gli uomini.


Gino Cecchettin: «Noi uomini agenti di cambiamento contro la violenza sulle donne»

«Mi rivolgo agli uomini perché per primi dobbiamo essere agenti di cambiamento» disse Gino Cecchettin, padre di Giulia, che in quei giorni divenne figlia di ogni genitore.

Poi il 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, è passato. Cos’è rimasto? E dove sono, adesso, gli uomini? Abbiamo raccolto le voci vibranti di quei giorni, soprattutto ne abbiamo cercate di nuove. Le abbiamo messe in sequenza, senza volerle decifrare, senza trarre, intenzionalmente, conclusioni. Si tratta di parole che cominciano a lambire la scena pubblica e sembrano iniziare a smantellare qualcosa.


Gli uomini e la sopraffazione, le opinioni di scrittori e intellettuali (maschi)

Riavvolgiamo per qualche secondo il filo di quei giorni e del confronto molto mosso tra scrittori e intellettuali che hanno ragionato sul Corriere della Sera e Repubblica.

Per lo scrittore e sceneggiatore Francesco Piccolo non esistono maschi progressisti in quanto maschi. Anzi, quanto più perderanno il predominio, tanto più si sentiranno fragili e quanto più si sentiranno fragili tanto più combatteranno disperatamente.

Per lo scrittore Paolo Giordano la possibilità della sopraffazione «è il segreto meglio custodito degli uomini», ai quali occorrerebbe, almeno, una nuova alfabetizzazione sentimentale con cui conoscere e affrontare le tortuosità delle relazioni.

Per il semiologo Stefano Bartezzaghi, il Dna non condanna affatto gli uomini a sopraffare. Detto questo serve una forte ostinazione collettiva verso chi quella sopraffazione la esercita contro la convivenza civile.


Bisogna essere sentinelle sociali contro la violenza sulle donne

Michele Serra apre alla sfida di generare nuove forme dell’essere maschi che siano più civili e più gentili. Mentre Aldo Cazzullo mette in chiaro che se è vero che i violenti sono la minoranza, la maggioranza se ne deve in qualche modo occupare.

Che poi è il messaggio che manda da sempre agli uomini il magistrato Fabio Roia, oggi Presidente del Tribunale di Milano e da anni in prima linea contro i femminicidi anche attraverso l’impegno di studioso e formatore (ha scritto per FrancoAngeli il libro Crimini contro le donne. Politiche, leggi, buone pratiche). Per Roia gli uomini devono condannare in maniera chiara la violenza sulle donne e trasformarsi, ciascuno, in sentinella sociale.


Reagire alle battute sessiste di amici e colleghi

«Se un uomo entra in contatto con un violento, deve respingere l’idea che il problema non sia suo e, anzi, deve intervenire: può, per esempio, informarlo dell’esistenza di centri che aiutano gli uomini che hanno agiti violenti» spiega Roia.

«Trovo che esporsi in prima persona sia necessario anche sul piano dell’evoluzione culturale. Se si sente un amico o un collega pronunciare una battutaccia sessista, non dobbiamo più fare finta di niente, ma rimarcarla come tale, perché sia riconosciuta inattuale e inadeguata in un contesto che punta a evolvere. Non è facile: io stesso, quando faccio notare a qualche “collega di genere” che si è espresso in maniera inadeguata, genero reazioni tra lo stupore e lo scherno, ma proprio questo tipo di reazione evidenzia l’urgenza di agire».

Per Roia esiste un filo che connette la violenza sulle donne a una cultura più generale che tende a sminuire le donne, «direi una coltura dove germogliano e crescono atti ostili al rispetto di parità, come quando in fase di assunzione si esclude surrettiziamente una donna perché ha una legittima prospettiva di maternità e, in genere, quando non la si valorizza, proprio perché donna, per quanto merita».


Apparteniamo al genere che esercita la violenza sulle donne. Anche se siamo brave persone

«Le donne sanno quanto sia ingiusto sopraffare, ma sono stanche di essere loro a dirlo. Per gli uomini è il momento di farsi sentire» dice Luca Dini, direttore del settimanale F che, insieme al
Comune di Milano e al suo sindaco Beppe Sala, ha sottoscritto il manifesto Uomini che amano le donne, per incoraggiare gli uomini a fare fronte contro la violenza sulle donne e le discriminazioni (hanno firmato, tra gli altri, Alessandro Baricco, Mahmood, Giorgio Armani, Rosario Fiorello, Roberto Bolle, Luciano Fontana, Gianmarco Tamberi, Gabriele Salvatores).

«Affermare che il mondo si divide tra persone perbene e persone che non lo sono è giusto, ma è insufficiente. Voglio dire che da maschio ci si può anche dissociare dalla violenza, ma si deve essere consapevoli di appartenere al genere che quella violenza la esercita» dice Dini, che dal suo giornale, dopo lo stupro di branco di Palermo la scorsa estate, ha lanciato la campagna #IoNonSono-Carne, ricordando la frase pronunciata dall’istigatore dello stupro: “la carne è carne”.

«Si tratta di parole ripugnanti, che mortificano le donne, ma che mortificano anche gli uomini, perché neanche gli uomini vogliono più essere ridotti a pura carne, a un presunto codice genetico o ormonale che dice loro di aggredire. Lavorando in quei mesi sulla campagna, io stesso sono cambiato: non ho difficoltà a dire che da direttore ho affrontato, solo fino a cinque anni fa, temi che adesso non affronterei più nello stesso modo».


Il patriarcato non è un’esclusiva maschile

Per Dini ci si sbaglia, però, a pensare che il patriarcato sia un’esclusiva maschile: «Il patriarcato è una cultura che appartiene agli uomini e alle donne. Se è vero che negli uomini c’è una maggiore tendenza alla prevaricazione, da parte delle donne c’è una maggiore tendenza ad accettare la prevaricazione se viene da un uomo. Dobbiamo fare un cammino insieme».

Conclude Dini: «Gli uomini si facciano carico del dovere di partecipare a un grande processo di cambiamento. E le donne, tutte, accettino la partecipazione degli uomini».


Riconoscere i propri privilegi

Intanto, gli italiani si confessano all’Istat. La nuova indagine Stereotipi di genere e immagine sociale della violenza consegna un’Italia che prova a essere più equa. Rispetto al passato, gli italiani e le italiane hanno meno stereotipi, anche se ad averli superati sono soprattutto le donne, ed emerge una minore tolleranza della violenza fisica nella coppia.

Ma il 48,7% ha ancora almeno uno stereotipo sulla violenza sessuale, il 39,3 per cento pensa che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole e quasi il 20% crede che la violenza sia provocata dal modo di vestire della vittima.


Le campagne di uomini per gli uomini contro la violenza sulle donne

Per dire quanto sia urgente disinnescare le trappole di normale patriarcato quotidiano, germogliano campagne di uomini per gli uomini.

L’associazioneMaschi che si Immischiano – Violenza sulle donne: il problema siamo noilancia la campagna “Scegli che uomo 6”, prospettando sei situazioni-bivio: «Un padre che ascolta o che spaventa?», «Un partner attento o che si fa servire?». «Un collega che valorizza o che svaluta le donne?», «Insegni il rispetto o denigri le donne?», «Aiuti un amico che si separa o sono affari suoi?», «In pubblico ascolti le donne o le mortifichi?».

Gli uomini di RTL102.5, di Radio Zeta e Radio Freccia, invece, hanno lanciato la campagna #Percambiare, esortando a gesti di cambiamento concreti. «#Per cambiare non chiediamo mai più a una donna di smettere di lavorare, #Per cambiare dobbiamo essere felici se una ragazza fa serata con chi vuole, #Per cambiare non chiediamo a una donna durante un colloquio di lavoro se intende diventare madre».


Femminismo, maschile

Anche chi scende in campo in ordine sparso lo fa in nome di un cambiamento di sostanza. E divulga, spiega, contamina in una cornice di femminismo pop che certamente è al centro di qualche critica, ma è entrato nelle aziende e nelle istituzioni.

Lorenzo Gasparrini è autore del libro Perché il femminismo serve anche agli uomini (Eris). Conduce seminari e laboratori in aziende, scuole, ordini professionali per smascherare i ruoli stereotipati che, dice, pesano, oltre che sulle donne, sugli uomini, «anche se loro non lo ammetterebbero mai», chiarisce. «Ammettere un condizionamento culturale è per noi difficilissimo, perché significa ammettere che non si è padroni delle proprie intenzioni».


Il privilegio goduto da un uomo è uno svantaggio per una donna

Davide Rossi, bolognese, 39 anni, operaio specializzato, è referente su Bologna della campagna Mezzi Per Tutte, creata da Roadto50%, associazione paneuropea per la parità di genere in politica. «Gli uomini devono riconoscere, collettivamente, con un’unica voce, che godono di privilegi non più accettabili, perché ogni privilegio goduto è uno svantaggio procurato a qualcun’altra. È il sistema intero che va messo in discussione».

In nome della campagna Mezzi Per Tutte lanciata contro le molestie sui mezzi pubblici, Rossi ha seguito una formazione presso i Centri Antiviolenza e oggi va nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi e le ragazze. «Sono entrato nell’associazione perché volevo rendermi utile. L’inizio è stato duro, anche sul piano personale, specie quando ho cominciato a rendermi conto che io stesso agivo con la mentalità patriarcale di chi sente che gli spetti tutto. Lavorando sulla conoscenza e sulla consapevolezza, sono cambiato. E andando nelle scuole ho capito che possiamo fare moltissimo».


L’attivismo contro la violenza sulle donne

«La storia non procede in modo lineare ma per salti, specialmente quando si tratta di incidere sulle culture. E io penso che stiamo attraversando una svolta». A parlare è Michel Martone, professore ordinario di Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali all’università La Sapienza di Roma, uomo attento ai temi di genere, padre di un bambino piccolo da cui – racconta con una gioia che sembra riordinare tutto – si è lasciato trasformare.

«Le piazze del 25 novembre hanno mostrato la necessità, sentita collettivamente, di un salto di qualità, anche da parte degli uomini che non vogliono essere assimilati al grande magma del maschilismo. In tanti hanno capito che è necessario fare di più e passare dalla tolleranza silenziosa a un attivismo responsabile, dalle parole ai fatti.

La parità tra i generi è un valore ormai condiviso, ma richiede l’impegno da parte di ciascuno a non tollerare più: se viene pronunciata una battuta maschilista, è giusto dire che quella battuta è sbagliata e che non va fatta. Ecco, credo che lo scorso 25 novembre molti uomini hanno affermato la consapevolezza collettiva di dover prendere posizione. Lo leggo come un viatico perché prendere posizione diventi una costante negli ambiti privati e pubblici, e anche nei luoghi di lavoro, dove effettivamente stigmatizzare i comportamenti maschilisti di qualche collega e magari di un superiore, non è affatto semplice».


Incontrarsi tra uomini per liberarsi dal sessismo

In Italia, intanto, crescono i gruppi di uomini che si incontrano per liberarsi dal sessismo, dalla cultura del controllo e del possesso, per migliorare le relazioni tra uomini e donne, ma anche quelle tra maschi.

Il sociologo Marco Deriu è tra i motori diMaschile Plurale, rete di gruppi che fanno comunicazione, educazione, formazione su questi temi: «Gli uomini hanno introiettato sul piano culturale l’epocale passaggio da relazioni di impronta patriarcale a modelli più orizzontali e paritari. Ecredo che in via teorica nessun uomo obietti più nulla davanti ai diritti avanzati dalle donne. Ma quanto ad accettare in maniera reale, profonda, sentita la soggettività e l’alterità delle donne dentro la relazione, penso siano in difficoltà. In questi casi, molte coppie vanno bene finché c’è intesa. Quando l’equilibrio si crepa, tracimano, qualche volta prendendo la strada della violenza vendicativa o dell’ossessione di controllo, favorita dall’incapacità degli uomini di comprendere i propri vissuti».


La paternità non sia un affiancamento

«Per di più, gli uomini fanno oggi i conti con le fatiche della loro vita – separazioni, delusioni, fallimenti – senza parlarne con gli altri, perché non hanno costruito spazi emotivi e di intimità in cui possano comunicare le loro esperienze esistenziali non in astratto, ma in maniera autentica» spiega Deriu, che insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Parma.

«Quando abbiamo condotto interviste in coppie segnate dalla violenza, abbiamo registrato come i racconti dei maschi durassero la metà, se non un terzo rispetto a quelli della partner o della ex e fossero scarni, privi di struttura. Vedo due vie possibili verso il cambiamento: in primo luogo, l’educazione all’affettività dei bambini e dei ragazzi nelle scuole.

«E poi la paternità, a condizione che non sia vissuta solo come un affiancamento alle cure materne, ma che sia reinventata, attraverso l’esplorazione delle dimensioni profonde delle emozioni, della fisicità, dell’intimità, della vulnerabilità». E conclude: «Più in generale, credo che gli uomini debbano lavorare sulla consapevolezza della propria parzialità, per non pretendere più di parlare a nome di tutti. Sono sempre state degli uomini l’economia e la politica, e la norma è sempre stata dettata dagli uomini: questa supremazia ha reso il nostro punto di vista universale e ciò ci ha regalato potere, ma ci ha escluso da tutto il resto».


(Io Donna, 30 dicembre 2023)

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