26 Ottobre 2021
il manifesto

Sfogliando il catalogo del postumano, tra scienza e filosofia

di Anna Maria Merlo


L’evento. «Au frontières de l’humain», al Museé de l’Homme di Parigi fino al 30 maggio 2022. Una riflessione sui confini del vivente. Un percorso che dall’«Origine delle specie» di Darwin giunge fino all’antropocene


È una mostra di idee, che attraverso installazioni, dispositivi multimediali e alcune opere d’arte contemporanea esplora i limiti dell’umano, interroga tutti sul divenire dell’umanità e della terra: Au frontières de l’humain, al Museé de l’Homme di Parigi (fino al 30 maggio 2022) sfodera un approccio pluridisciplinare che va dalla biologia alla filosofia e invita a riflettere sui confini del vivente, alla luce delle scoperte scientifiche e dei progressi tecnologici.

La rassegna, divisa in cinque capitoli, un prologo e una conclusione, si apre con un’opera di Samuel Yal, L’uomo esploso, frammenti di impronte d’argilla che rimandano a un’esistenza in sospeso, incerta. Per secoli, la specie umana si è ritenuta superiore. Oggi, le frontiere si sfumano.

«Io sono un animale eccezionale» è il titolo della prima parte della mostra che dalla pubblicazione dell’Origine delle specie di Darwin nel 1859 percorre la strada del declino dell’antropocentrismo. Ci sono ormai le prove che alcuni animali hanno una coscienza, comunicano, collaborano tra loro, provano emozioni, sanno fabbricare strumenti, al punto che è difficile stabilire una linea di separazione netta con l’essere umano. Oggi, anche sul piano legale, c’è chi preme per conferire agli animali una personalità giuridica.

«Io sono un campione» esplora invece come nello sport vengano spostati i limiti del corpo. Indaga il funzionamento delle «fabbriche dei campioni», creature sempre più specializzate, grazie alla tecnica e a sollecitazioni psicologiche, biomeccaniche, psicologiche. Eppure, Usain Bolt, l’uomo più rapido del mondo (100 metri in 9,58 secondi nel 2009) corre meno veloce dei gatti o dei ghepardi, Michael Phelps, il primo ad aver nuotato i 50 metri stile libero in meno di 50 secondi, impiega comunque più tempo di una carpa o di un pesce spada.

La terza parte, «Io sono un cyborg» si concentra sul corpo «riparato, aumentato o connesso»: protesi, esoscheletri, impianti, corpi elettronici, le ibridazioni sono illustrate attraverso estratti di film, foto, oggetti. Il primo «uomo aumentato» è l’eroe di un romanzo, Steve Austin, un astronauta protagonista di Cyborg di Martin Caidin (1972). Dalle prime protesi in legno di Ambroise Paré, chirurgo militare del XVII secolo, attraverso l’accelerazione delle guerre, si è arrivati fino al bionico, la connessione della protesi al sistema nervoso, sperimentata su soldati statunitensi al ritorno dalla guerra del Golfo nel 1991. I militari Usa dal 2014 hanno cominciato a testare un esoscheletro, l’Iron Man Suit. Dagli anni Sessanta si sono infatti progressivamente diffusi dei dispositivi artificiali, integrati all’interno del corpo per sostituire un organo difettoso (cuore, anche, cristallino dell’occhio e via dicendo) e in un futuro non lontano si potrà contare su un «corpo connesso», che trasforma gli individui in cyborg, ponendo però enormi questioni etiche. The Alternative Limb Project, una società fondata a Londra nel 2011, propone da tempo protesi «artistiche» e sofisticate, interpretando gli esseri bionici come opere d’arte.

«Io sono un mutante» invita il visitatore a compiere un salto supplementare, immergendosi nella ricerca dell’essere perfetto grazie al ricorso alle biotecnologie. Un’inquietante opera illustra questa sezione della mostra: è The Bond dell’australiana Patricia Piccinini, statua in silicone, a grandezza naturale, di una donna che con gesto materno tiene in braccio un piccolo transgenico, una enorme creatura color carne (la sua schiena somiglia alla suola di una sneaker).

Nel percorso espositivo c’è anche un gioco che permette di costruire il «bambino perfetto». Dalle prime fecondazioni in vitro e l’inizio delle banche dello sperma (nel 1964, a Tokyo e a Iowa City) si è arrivati ora al commercio particolarmente lucrativo di gameti (in Danimarca, per esempio), ai cataloghi dove scegliere la propria prole (218 bambini sono nati dalla creazione nel 1980 a Escondido in California della banca di «geni», che ha selezionato donatori tra i Premi Nobel e uomini con intelligenze superiori a 130).

La diagnosi prenatale, infatti, in alcune cliniche è un argomento non sanitario ma puramente commerciale. Risale al 2013, a Filadelfia, la nascita del primo bebè «geneticamente perfetto», frutto di una scelta su genomi di vari embrioni; nel 2018 ha replicato la Cina con i primi bambini modificati e «aumentati», mentre due anni prima gli Usa avevano avviato il programma Human Genome Project-Write, mirando a generare cellule umane di sintesi. Si apre, dunque, una questione etica vertiginosa. Le leggi in materia di bioetica sono diventate centrali. «La scienza può farci sperare nell’immortalità?», si chiede la quinta sezione della rassegna parigina, dal titolo profetico «Io sono immortale».

La speranza di vita è raddoppiata in un secolo (73 anni in media sul pianeta), nel mondo ricco i centenari sono sempre più numerosi (anche se la vongola Ming può vivere fino a 507 anni o il pescecane della Groenlandia fino a 392). Ma il transumanesimo promette l’immortalità: crioconservazione (vi hanno fatto ricorso già duemila persone nel mondo, alcune si sono fatte congelare solo la testa, sperando che la tecnica permetterà di ricostruire nuovi corpi), esperimenti con la molecola rapamycinuploading del cervello, mentre per trasformarsi in immortali digitali c’è il programma di ricerca Google Brain).

La mostra chiude il cerchio con un brusco ritorno alla realtà: l’antropocene, la nuova epoca geologica, sta trascinando l’umanità alla catastrofe a causa del modello di crescita economica adottato, con uno sfruttamento delle risorse senza limiti? Il futuro non è scritto, sottolinea la mostra: tutto dipende dalle nostre scelte.


(il manifesto, 26 ottobre 2021)

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