29 Maggio 2021
Il Quotidiano del Sud

Smettete di pagare la Guardia Costiera libica

di Franca Fortunato


Nei prossimi giorni il Parlamento italiano dovrà votare il rifinanziamento alla Guardia Costiera libica per riportare forzatamente i migranti, imbarcati sui gommoni, in Libia. “Salvataggi in mare” li chiamano e Mario Draghi, in visita a Tripoli, ha ringraziato. Quale sia il destino dei “salvati in mare” ce lo racconta Francesca Mannocchi sull’ultimo numero dell’Espresso. «Nella notte tra il sette e l’otto aprile scorso – scrive – un uomo è stato ucciso e due giovani, un diciassettenne e un diciottenne, sono rimati feriti nel centro di raccolta di Al-Mabani, Tripoli, centro di detenzione, dove è scoppiata una rissa e le guardie hanno reagito aprendo il fuoco in modo indiscriminato. Quello di Al-Mabani è un centro di smistamento dove le persone restano per un tempo indefinito prima di essere spostate nei centri ufficiali. È il più affollato dei centri di Tripoli. A febbraio nel giro di poche settimane è passato dalla capienza prevista – circa 300 persone – a 1500, che significa che in ogni stanzone ci sono tra le duecento e le duecentocinquanta persone e che, insieme ai migranti, sono aumentate le tensioni. Le condizioni nel centro sono invivibili: c’è poca luce e ventilazione, non arriva abbastanza cibo né acqua, non ci sono bagni per tutti, solo tre o quattro ogni duecento persone». È per rinchiudere i “salvati in mare” in luoghi simili e mantenere gli altri in centri lager che l’Italia, negli ultimi quattro anni, ha pagato la Libia (213 milioni di euro) per “contenere i flussi migratori” e adesso il Parlamento si appresta a rifinanziare. “Contenere”, “rimpatriare”, “respingere” sono le parole che da anni hanno preso il posto di “soccorrere”, “salvare”, “accogliere”, “ospitare” e hanno trasformato il Mediterraneo da ponte tra civiltà, culture, lingue diverse in “confini”, “muro”, “cimitero” “morte”. In fondo a quel mare, naufragio dopo naufragio, continua a crescere il reame sottomarino delle/i bambine/i lasciati annegare da un’Europa che a parole parla di “approccio umano e umanitario”, di “solidarietà” e “umanità”, come ha fatto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, a cui avevo dato credito, presentando il nuovo patto per asilo e migrazione, ma che nei fatti guarda ai respingimenti e lascia i salvataggi in mare alle poche Ong ancora in condizione di effettuare recuperi. Il Mediterraneo da tempo non è “Mare nostrum” perché non tutti i popoli che vivono sulle due sponde lo vivono come tale. Non so se è vero che la bellezza salverà il mondo, come ha detto qualcuno, e se questo mondo dove dominano il profitto e il denaro, come dimostra anche la vicenda dei vaccini contro il Covid per i Paesi poveri, è salvabile, ma ri-leggere in questo presente il libro del poeta “arabo-andaluso” Mohammed Bennis Il Mediterraneo e la parola. Viaggio, poesia, ospitalità, che giaceva nella mia libreria e si è imposto al mio sguardo, è stato un modo per restituire dignità e umanità alle tante vite annegate, umiliate, violentate, disprezzate giorno dopo giorno lungo le rotte dell’immigrazione di terra e di mare. Un modo per dire della bellezza di civiltà, lingue e culture diverse dove accoglienza e ospitalità sono simbolo della generosità delle genti mediterranee. «La mia poesia – scrive Mohammed – appartiene a quella poesia araba che ha accolto gioiosamente lo straniero nella sua lingua e nella sua cultura, nel rispetto dell’ospitalità. La mia poesia ha scelto il dialogo.» Pagare la Guardia Costiera libica contro i migranti è l’ennesimo vergognoso tradimento di quella comune civiltà mediterranea dell’accoglienza e dell’ospitalità che la poesia di Mohammed accoglie e che molte/i praticano, anche in Calabria.


(Il Quotidiano del Sud, 29 maggio 2021)

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