4 Maggio 2023
Il Fatto Quotidiano

Staffetta dell’umanità per dare voce alla pace

di Donatella Di Cesare


Un incontro fra 600 aziende italiane e 150 ucraine in vista di una fantomatica “ricostruzione” dell’Ucraina, mentre di giorno in giorno si moltiplicano i bombardamenti e i raid, aumentano le stragi e i morti. È difficile immaginare qualcosa di più subdolo e ipocrita. L’unico risultato della politica meloniana di fronte alla catastrofe della guerra non è che la messa in scena di uno sciacallaggio cinico e ripugnante. Continuino pure le carneficine, le distruzioni e le rovine – noi siamo qui che ci freghiamo le mani, pronti a investire in una “ricostruzione” su quel che resterà di edifici e persone. Intanto eleviamo inni patriottici alla libertà, o meglio, alla “nostalgia della libertà”, che gli alleati europei, da Macron a Scholz, con i loro sbandamenti e le loro indecisioni, sembrano aver dimenticato. Barra dritta, dunque, verso la “vittoria”, in attesa ovviamente del “dividendo della libertà”, dei profitti e degli utili, ammantati persino da una “scelta etica”: quella di una guerra da far combattere ad altri, per delega e per procura. D’altronde Meloni – si sa – viene dal fior fiore della tradizione democratica. Chi meglio di lei, e del suo governo postfascista, potrebbe rappresentare i valori europei? Chi meglio, insieme al premier polacco Morawiecki, potrebbe capeggiare la nuova Europa belligerante, il vecchio continente ancora una volta in armi? La partita sarebbe, com’è noto, democrazie contro autocrazie.

Questo scenario parrebbe semplicemente grottesco, se non avesse le conseguenze tragiche che sono già sotto gli occhi di tutti e che si moltiplicheranno se questo conflitto continuerà a essere avallato e supportato. L’Italia, tra i paesi europei più colpiti, e più coinvolti, sembra un caso emblematico. Il draghismo liberista e atlantista ha fatto la sua parte imprimendo sin dall’inizio della guerra una violenta sterzata. Meloni si è collocata nel solco di quel fondamentalismo atlantista. Niente di meglio per far digerire, nel contesto internazionale e in quello interno, il suo indigeribile postfascismo. Così un paese a maggioranza pacifista, che da subito ha espresso – come poteva – la propria opposizione all’invio di armi, è stato tradito. Avrebbe potuto svolgere un decisivo ruolo diplomatico, in consonanza con la propria storia, la propria geografia, la propria vocazione, mentre è costretto al ruolo opposto, nel fronte anti-europeo di America e Inghilterra, con l’appoggio delle forze più oscure e retrive, tra polacchi e baltici. Eppure l’Italia ha una Costituzione che nell’articolo 11 la dovrebbe preservare da ogni guerra e non permetterebbe in nessun modo l’invio di armi a Paesi non alleati, cioè una cobelligeranza a tutti gli effetti. Quell’articolo è stato calpestato, insieme con la Costituzione. Non la si venga a sbandierare nei discorsi pubblici, inneggiando a una immaginaria “identità italiana” fondata sulla guerra. Qualche incauta giornalista – non mancano davvero quelli proni alla peggiore propaganda militarista – ha sostenuto di recente che sarebbero “marginali” coloro che si prodigano per la pace o che la auspicano. Si sbaglia. È la maggioranza del Paese, che da tempo non riesce a farsi sentire. Questa maggioranza è favorevole all’invio di aiuti umanitari al popolo ucraino, ma è contraria alle armi. Non per indifferenza, bensì per ragioni politiche ed etiche. Quando manca una rappresentanza, e si viene consegnati all’impotenza, si può e si deve ricorrere a tutti quei mezzi che, mentre restituiscono ai cittadini la capacità di cambiare le cose, riattivano la democrazia. Perciò marceremo insieme per la pace nella “Staffetta dell’umanità” programmata il prossimo 7 maggio, un grande flash mob che, passando simbolicamente per la via Francigena, attraversa tutta l’Italia fino alle coste ioniche. E firmeremo per il referendum che, richiamando ai principi della Costituzione, chiede lo stop all’invio di armi.

Ogni giorno i pacifisti continuano a essere dileggiati. Inaccettabili sono i distinguo di coloro che, tacciandoli di irrealismo o utopismo, pretendono di navigare nell’ambiguità. È il caso purtroppo di Elly Schlein e di gran parte del Pd. Non si può parlare di pace mentre si avalla la guerra. Le parole hanno un valore e non possono essere deturpate e costrette a significare il contrario. Pace vuol dire pace. Ci chiediamo piuttosto che cosa voglia dire la “vittoria” preannunciata da Meloni e dal fronte atlantista. L’Ucraina, armata fino ai denti dall’Occidente, forte di nuovissimi mezzi militari, tra carrarmati e missili (ha ricevuto il 98% del materiale richiesto), si appresta alla controffensiva. Per riprendere il Donbass? La Crimea? Per una campagna di Russia? Per una guerra protratta? Qual è la strategia politica dell’Italia in questo scenario in cui l’arma nucleare – a detta degli Usa – può essere ormai un’arma preventiva? Pretendiamo democraticamente di saperlo.


(Il Fatto Quotidiano, 4 maggio 2023)

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