di Margaret Atwood
Nei primi anni Ottanta, scrissi un romanzo che immaginava un futuro nel quale gli Stati Uniti erano disuniti. Parte del Paese si era trasformata in una dittatura teocratica basata sui precetti e la giurisprudenza religiosa puritana del New England del XVII secolo. Lo ambientai dentro e vicino all’università di Harvard, istituzione che negli anni Ottanta era rinomata per il suo liberalismo, ma che era stata fondata tre secoli prima perlopiù come scuola di formazione per il clero puritano.
Nell’immaginaria teocrazia di Gilead, le donne avevano pochissimi diritti, come nel New England del XVII secolo. La Bibbia era stata accuratamente revisionata, e i brani selezionati erano interpretati alla lettera. Sulla base delle disposizioni riproduttive contenute nella Genesi – in particolare quelle della famiglia di Giacobbe – le mogli dei patriarchi altolocati potevano avere schiave, o ancelle, e dire ai loro mariti di procreare figli con queste ultime per poi reclamarli come propri.
Sebbene io abbia finito con il portare a termine il romanzo, intitolandolo Il racconto dell’ancella, durante la sua stesura mi interruppi parecchie volte, perché lo consideravo azzardato e inverosimile. Che sciocca! Le dittature teocratiche non appartengono soltanto a un lontano passato: sul nostro pianeta oggi ce ne sono molte. Che cosa impedisce agli Stati Uniti di diventarne una? Per esempio: abbiamo appena saputo che, secondo l’opinione della Corte Suprema degli Stati Uniti, trapelata nella sua interezza, la giurisprudenza consolidata di cinquant’anni verrebbe rovesciata a partire dalla premessa che l’aborto non è citato nella Costituzione e non è «radicato profondamente nella nostra storia e nella nostra tradizione». È abbastanza vero.
La Costituzione non dice niente della salute riproduttiva femminile. In verità, il documento originale non cita proprio le donne, che furono escluse di proposito dalla Carta costituzionale. Anche se uno degli slogan della Rivoluzione del 1776 era «nessuna tassazione senza rappresentanza» e il governo era considerato una cosa positiva, le donne non sarebbero state rappresentate o governate con il loro consenso, ma soltanto per procura, tramite i loro padri o mariti. Le donne non potevano né dare il loro benestare né negarlo, perché non avevano diritto di voto. La situazione rimase tale fino al 1920, quando fu ratificato il Diciannovesimo Emendamento, fortemente avversato da molte persone che lo ritenevano contrario alla Costituzione originaria. E lo era. Nella giurisprudenza degli Stati Uniti le donne non sono state persone molto più a lungo di quanto sono state persone. Se iniziamo ad abbattere una legge consolidata usando le motivazioni addotte dal giudice della Corte Suprema Samuel Alito, perché non abrogare il diritto di voto delle donne?
I diritti riproduttivi sono stati al centro delle recenti baruffe, ma si è parlato soltanto di una faccia della medaglia: il diritto di astenersi dal partorire. L’altra faccia di quella medaglia è il potere dello Stato di impedire la riproduzione.
La sentenza Buck v. Bell del 1927 della Corte Suprema sostenne che lo Stato poteva sterilizzare le persone senza il loro consenso. Anche se quella decisione fu revocata dai casi successivi e le leggi statali che permettevano una sterilizzazione su vasta scala furono respinte, Buck v. Bell compare ancora nei libri di giurisprudenza. Quel tipo di pensiero eugenetico un tempo era ritenuto progressista, e negli Stati Uniti si effettuarono circa settantamila sterilizzazioni, sia di donne sia di uomini, ma maggiormente di donne. Di conseguenza, una tradizione «radicata profondamente» è che gli organi riproduttivi femminili non appartengono alle donne che li possiedono. Appartengono soltanto allo Stato. Aspettate: state pensando che la vera questione non riguarda gli organi, ma i neonati? Questo solleva alcune domande. Una ghianda è una quercia? L’uovo di una chioccia è una gallina? Quando, esattamente, l’uovo umano fertilizzato diventa un vero essere umano o una persona? La “nostra” tradizione – diciamo quella degli antichi Greci, dei Romani, dei primi Cristiani – è sempre stata vaga su questo argomento. Al concepimento? Quando il cuore inizia a battere? Quando il feto si muove? La linea dura degli attivisti antiabortisti di oggi è fissa sul concepimento, che adesso si suppone essere il momento in cui «l’anima viene insufflata» in un ammasso di cellule. Ciascuna opinione di questo tipo, però, dipende dai princìpi religiosi, in particolare il fatto di credere nell’anima. Non tutti condividono questo principio. Tutti, invece, adesso rischiano di dover sottostare a leggi formulate da coloro che ci credono. Ciò che è peccato nell’ambito di un dato insieme di principi religiosi è un crimine per tutti gli altri.
Prendiamo in considerazione il Primo Emendamento, che afferma: «Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o della stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti».
Coloro che scrissero la Costituzione – consapevoli delle sanguinarie guerre di religione che avevano lacerato l’Europa fin dall’ascesa del protestantesimo – desideravano scongiurare quella trappola letale. Non avrebbe dovuto esserci una religione di Stato. Lo Stato non avrebbe precluso a nessuno di professare la religione prescelta. Avrebbe dovuto essere semplice: se si crede nella «induzione dell’anima» al concepimento, non si dovrebbe abortire, perché farlo è un peccato per quella religione. Se non ci si crede, in base alla Costituzione non si dovrebbe essere limitati dai principi religiosi altrui.
Nel caso in cui l’opinione di Alito dovesse diventare la nuova legge consolidata, gli Stati Uniti sarebbero sulla buona strada per definire una religione di Stato. Il Massachusetts nel XVII secolo aveva una religione ufficiale, e in conformità a essa i puritani impiccarono i quaccheri.
Il parere di Alito sostiene di avere i suoi presupposti nella Costituzione americana. Di fatto, il suo parere si basa sulla giurisprudenza inglese risalente al XVII secolo, epoca in cui credere nella stregoneria provocò la morte di molti innocenti. I processi alle streghe di Salem furono veri e propri processi – con giudici e giurie – ma accettarono la «evidenza spettrale». In pratica, si credette che una strega potesse inviare una sua sosia, o uno spettro, nel mondo a commettere malvagità. Di conseguenza, se una donna era addormentata nel suo letto (e per questo c’erano anche dei testimoni), ma qualcuno riferiva che stava commettendo cose sinistre a una mucca a parecchi chilometri di distanza, quella donna era giudicata colpevole di stregoneria: non aveva modo di dimostrare il contrario. Ugualmente, sarà assai difficile confutare una falsa accusa di aborto. Un semplice aborto spontaneo, o la lamentela da parte di un ex partner contrariato, sarà sufficiente a etichettare una donna come assassina. Le accuse per vendetta o rancore si moltiplicheranno, proprio come accadde con le chiamate in giudizio per stregoneria 500 anni fa.
Se il giudice Alito vuole che siate governati dalle leggi del XVII secolo, fareste bene a studiare attentamente quel periodo. È a quei tempi che intendete vivere?
(La Stampa, 15 maggio 2022 – articolo originale su The Atlantic, traduzione di Anna Bissanti)