di Lorenzo Tecleme
Capita alle Cop che paesi piccoli e medi, normalmente ignorati dalle cronache internazionali, si ritaglino un ruolo da inaspettati protagonisti. A Cop28, ancora in corso a Dubai, questo ruolo se lo sta prendendo la Colombia. E il merito è soprattutto della sua carismatica ministra dell’Ambiente e dello sviluppo sostenibile, Susana Muhamad.
Già prima della COP la Colombia, guidata per la prima volta nella sua storia da un governo di sinistra, ha inaugurato un nuovo piano contro la deforestazione e annunciato lo stop a ogni nuova licenza estrattiva nell’oil&gas. Non una scelta scontata per un paese che ancora al 2020 aveva il petrolio in cima alla lista dei beni importanti. A Cop28 il Paese ha aderito al Fossil Fuel non-Proliferation Treaty, una proposta di trattato internazionale modellato sulla falsariga degli accordi che portarono a fermare la corsa alle armi nucleari. È la prima nazione produttrice di idrocarburi a farlo. Ma soprattutto è la posizione colombiana al negoziato a stupire gli analisti. Come quelle di tutti i paesi in via di sviluppo, la delegazione guidata da Muhamad è estremamente critica coi paesi occidentali sul lato finanziario, accusandoli di non fornire al Sud globale i mezzi necessari alla transizione. Ma a differenza di buona parte del mondo non industrializzato e della stessa America Latina, la Colombia è radicalmente schierata a favore del phase-out, l’abbandono dei combustibili fossili. Una posizione tedesca sulla mitigazione e cubana su finanza e adattamento che spezza le contrapposizioni tipiche dei summit internazionali sul clima.
Artefice di questo modello è senza dubbio la ministra. Quarantasette anni, storica ecologista con una laurea in pianificazione dello sviluppo sostenibile alle spalle, fiera delle sue origini palestinesi. Al Majli, l’assemblea convocata da Al Jaber alla fine della prima settimana, si è fatta conoscere anche come oratrice. «Il suo intervento è stato davvero notevole, quasi non riesco a crederci» ha commentato su X l’analista Nathalie Jones dell’IISD. «Se riusciamo a concordare sul 2030 – ha detto Muhamad – facciamolo. Dobbiamo eliminare progressivamente i combustibili fossili e abbiamo bisogno di un nuovo accordo economico per farlo». Non solo l’appoggio al phase-out, ma anche un richiamo a una data, il 2030, dentro un negoziato in cui anche i più ambiziosi si concentrano sul lontano 2050. E ancora: «Chi triplicherà le rinnovabili (uno degli obiettivi negoziali, ndr)? Chi ha interessi sui prestiti al 5% o chi li ha al 30%? Dov’è l’equità per noi, che siamo immersi nel debito?». Il dito è puntato su quell’occidente che di cancellazione del debito e seri aiuti alla transizione nel Sud globale non vuole sentire parlare.
È un ruolo unico quello che Muhamad ha scelto per il suo paese. La parte del governo-attivista, che dice ciò che gli ecologisti vorrebbero sentire, è di solito propria delle piccole nazioni insulari, che hanno un grande impatto simbolico ma nessun potere concreto. Stavolta lo ha preso una nazione che, seppur non paragonabile alle grandi potenze, ha 50 milioni di abitanti e un’area di molto superiore a quella italiana. Alla fine del Majli, la platea ha risposto al discorso di Muhamad con un lungo applauso. Per ora, il più sentito di questa Cop.
(il manifesto, 13 dicembre 2023)