29 Dicembre 2023
Il Fatto Quotidiano

Tal non è da solo: “Molti giovani rifiutano la violenza, ma in silenzio”

di Michela A.G. Iaccarino


«Ci chiamiamo Mesarvot, vuol dire “noi rifiutiamo” declinato al femminile, perché siamo anche un’organizzazione femminista», dice al telefono il portavoce della rete di obiettori di coscienza israeliani di cui fa parte Tal Mitnick, il giovanissimo refusnik che ha rifiutato di indossare la divisa perché «un massacro non mette fine a un altro massacro». Il suo video è finito su tutti i media del mondo, ma non in Israele: «C’è su Haaretz in lingua inglese e su qualche altro piccolo giornale, non sul resto dei media israeliani che sono impegnati nello sforzo bellico. Tal è stato mostrato brevemente in tv ma solo per essere sbeffeggiato». Nata nel 2016, Mesarvot riunisce quanti «rifiutano di combattere e protestano contro l’occupazione da molti anni» e aiuta legalmente i giovani che preferiscono andare in carcere piuttosto che nei ranghi. Anche alcuni riservisti si sono rifiutati di combattere: «Noi abbiamo seguito casi simili, ma loro di solito non finiscono in prigione».

Nemmeno l’organizzazione sa quanti siano gli obiettori israeliani in totale e non lo sa nemmeno l’esercito: «Molti decidono di non servire, ma non ne fanno un atto pubblico, non fanno quello che ha fatto Tal. Persone come lui sono rare. Lo ha fatto per dire a tutti: guardate che un’altra via, oltre alla militarizzazione della società, esiste. Ma la gioventù israeliana da tempo è stata radicalizzata a destra».

Netanyahu, secondo i giovani di Mesarvot, non sarà rovesciato solo dai refusnik, ma da molti segmenti della società che stanno capendo che «la guerra è una bugia e non risolverà il problema, che riguarda l’occupazione prolungata dei territori». Racconta il portavoce che «tutte le voci di sinistra, critiche della guerra, ora vengono attaccate. Ai pacifisti viene solo detto “andate a Gaza” o “voi supportate i terroristi”». In questo momento «Tal sui social israeliani viene chiamato codardo e traditore». Molti israeliani continuano a servire nell’esercito anche se hanno dubbi: «Non combattere non è un’opzione, anche per la pressione pubblica».


(Il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2023)

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