24 Gennaio 2023
il manifesto

Tutti i medici sono obiettori, aborto impossibile a Cosenza

di Claudio Dionesalvi e Silvio Messinetti


«Purtroppo l’aborto è una libertà delle donne» sentenziava la ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, qualche giorno fa in diretta televisiva. Tuttavia gli antiabortisti non albergano solo nelle stanze dei ministeri. Ancor più grave è che stazionino nelle corsie d’ospedale. E così può accadere che in Calabria, in uno dei nosocomi più grandi del Mezzogiorno, abortire sia praticamente impossibile. All’ospedale civile Annunziata di Cosenza sono tutti obiettori i 13 ginecologi assunti stabilmente in reparto, così come quasi tutte le ostetriche, ovvero 24 su 26.

C’è soltanto un medico, le cui prestazioni sono fornite «a gettone» (e quindi ben remunerate), che pratica l’interruzione volontaria di gravidanza su un territorio da 700mila abitanti. Una situazione grottesca e illegale su cui a breve dovrà rispondere il ministro della Sanità Orazio Schillaci.

Quello cosentino non è un caso isolato. Da una mappa dell’Associazione Luca Coscioni del 2022 emerge che in Italia sono una dozzina gli ospedali con il 100% di ginecologi obiettori. La parlamentare cosentina Anna Laura Orrico, il 18 gennaio, ha depositato un’interrogazione a risposta scritta alla Camera, per sapere quali iniziative intenda avviare il ministro della Salute «per verificare se all’ospedale civile di Cosenza venga adeguatamente fatta rispettare la legge n. 194 del 1978 e se il servizio fornito per l’interruzione volontaria di gravidanza possa essere al momento considerato efficace e continuativo, se al contempo venga in questo modo garantito il diritto al salute delle donne costituzionalmente contemplato per tutti i cittadini all’articolo 32».

È vero che la legge 194 all’art.9 garantisce l’obiezione ma la vincola ad alcune condizioni che la rendono per questo anche revocabile. In effetti, lo status di obiettore non esonera dall’assistenza antecedente e conseguente alla procedura vera e propria di interruzione e non può essere invocato quando il proprio intervento «è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo». La normativa inoltre prescrive che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate siano tenute «in ogni caso ad assicurare» che l’IVG si possa svolgere. Sono poi le singole regioni a dover controllare e garantire l’attuazione del diritto all’aborto «anche attraverso la mobilità del personale».

Dal 2020, quando il ministero ha aggiornato le linee guida per la somministrazione della pillola abortiva RU 486, il metodo farmacologico può essere svolto anche all’interno dei consultori. Quindi si potrebbero decongestionare gli ospedali. Le linee guida, però, non sono mai state recepite dalla regione Calabria. In Piemonte la pillola è in uso dal 2009, negli ospedali calabresi dal 2019. Nell’emergenza sanitaria permanente, i consultori comunque non possono somministrarla, perché mancano gli ecografi indispensabili per definire il periodo di gestazione. Da anni il collettivo Fem.In. lotta per il diritto all’interruzione di gravidanza.

A Cosenza l’ultimo sit-in di protesta risale al dicembre scorso. Dalla direzione amministrativa le femministe hanno ottenuto la promessa di assumere due medici per evitare che salti il servizio quando uno è assente. Si è definita una convenzione con l’Asp per impiegare un altro medico «a gettone», ma sinora ciò non è avvenuto. «L’obiezione – spiega la portavoce Vittoria Morrone – è problematica già sul piano normativo, perché è interpretata da chi non vuole permettere alle donne di abortire. Il problema è che la questione è trattata ancora in modo politico. Sappiamo infatti che molti obiettori di coscienza sono tali per equilibri interni ai reparti. Se i medici non si dichiarano obiettori, devono svolgere più turni di lavoro.

Ed è difficile per loro fare carriera. A riprova di ciò, accade che tutte le volte che è assunto nuovo personale sanitario, medico e non, dopo pochissimi giorni si dichiarano tutti obiettori. È chiaro – conclude la militante di Fem.In. – che noi continueremo a esercitare pressioni sulla direzione sanitaria e sul nuovo commissario regionale alla Salute». E se il presidente di regione Roberto Occhiuto sul punto finora tace, ora si attende la risposta di Schillaci. Intanto, per esercitare un proprio diritto le donne calabresi devono sconfinare in Puglia o emigrare al nord.


(il manifesto, 24 gennaio 2023)


Ricordiamo che ci sono ospedali che hanno indetto concorsi per assumere medici pronti ad applicare la legge, il primo è stato il San Camillo di Roma, nel 2016. Vedi l’articolo https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/aborto-troppi-obiettori-e-a-roma-un-ospedale-assume-solo-chi-applica-la-194/ (La redazione del sito)

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