7 Maggio 2020
Corriere della Sera

Ucraina, i figli delle madri surrogate ammassati in un hotel. Le femministe scrivono all’ambasciatore italiano

di Monica Ricci Sargentini


Sono sconvolgenti le immagini pubblicate sul sito della Biotexcom, un’agenzia per la maternità surrogata in Ucraina: si vede una grande nursery improvvisata nella hall dell’Hotel Venezia a Kiev. Le culle sono una accanto all’altra come in una sorta di catena di montaggio. Vi soggiornano 46 neonati e neonate messe al mondo da gestanti a pagamento su commissione di cittadini di molti Paesi del mondo, tra cui l’Italia.

Cosa è successo? A causa dell’emergenza sanitaria i genitori committenti non possono recarsi in Ucraina a prendere i bambini che hanno da poche ore a poche settimane di vita e l’agenzia di surrogacy è chiaramente in difficoltà tanto che l’avvocato della clinica Denis Herman sollecita i clienti a rivolgersi ai Ministeri degli Esteri dei rispettivi Paesi perché richiedano al Governo ucraino un permesso speciale in deroga alle regole del lockdown per recarsi a ritirare i neonati.

Il caso ha destato allarme e preccupazione tra i movimenti femministi che si battono contro lo sfruttamento delle donne e dei bambini nel mondo. In Italia la Rete Italiana contro l’Utero in Affitto, che rappresenta diverse associazioni tra cui In Radice- per l’Inviolabilità del Corpo Femminile, RadFem Italia, Se Non Ora Quando Libere, Udi e Arcilesbica Nazionale, ha inviato una lettera all’ambasciatore italiano in Ucraina Davide La Cecilia e, per conoscenza al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in cui si chiede «di verificare le effettive condizioni di salute dei bambini e quanti e chi siano gli italiani clienti di Biotexcom e di altre cliniche». Le firmatarie ricordano che in Italia «la gestazione per altri o utero in affitto è un reato e chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da 600.000 a un milione di euro». Se ne deduce, si legge nella lettera, che non possa essere «concesso alcun permesso speciale, in deroga al lockdown, per recarsi a “ritirare” i bambini». Anzi l’Italia dovrebbe attivarsi perché i minori «vengano affidati, di preferenza, alle madri che li hanno messi al mondo. Oppure, se esse non possono o non intendono farsene carico, a famiglie che se ne possano prendere cura. O che vengano dichiarati in stato di adottabilità». (Per aderire all’appello scrivere a inviolabili01@gmail.com)

Ma il caso di Biotexcom è solo la punta dell’iceberg. In Ucraina sono decine le agenzie di maternità surrogata che in questo momento sono in difficoltà sia perché il business è fermo a causa della pandemia, sia perché si ritrovano con tanti bambini e bambine sospesi in un limbo, anche giuridico. Si parla di circa 500 neonati. Chi se ne prenderà cura? Qual è il loro status attuale? Sono cittadini ucraini? Sono apolidi? Domande ancora senza risposta e che sicuramente porteranno altre associazioni nel mondo a chiedere ai rispettivi ambasciatori risposte immediate. Dal 2018 è attiva la Rete Internazionale per l’abolizione della maternità surrogata che raggruppa 241 ong in 20 diversi Paesi. 

Il problema, ovviamente, si ripropone negli Stati Uniti e in tutti gli altri Paesi (sono solo 18 nel mondo) in cui questa pratica è consentita.


(Corriere della Sera, 7 maggio 2020)

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