22 Giugno 2023
Avvenire

Un vincolo tra madre surrogata e figlio

di Eleonora Porcu*


La gravidanza crea un legame profondo e indissolubile, che viene spezzato con la consegna del bambino ai committenti. Le ragioni della scienza 


I sostenitori della gravidanza surrogata (o gestazione per altri) considerano questa procedura come una terapia per l’infertilità disponibile nell’armamentario della Procreazione medicalmente assistita. In realtà questa procedura non ha nulla di terapeutico e non può essere considerata un progresso scientifico bensì la cessione temporanea di un organo, l’utero. Infatti, per definizione, la gravidanza surrogata è una forma di riproduzione in cui una donna (definita madre surrogata, gestante d’appoggio, gestante per altri o portatrice gestazionale) provvede alla gestazione per conto di una o più persone committenti al quale/ai quali, dopo il parto, consegnerà il nato cedendo i diritti genitoriali attraverso un vero e proprio contratto tra le parti interessate che stabilisce anche la forma della prestazione in lucrativa (con compenso) o altruistica (con “ragionevole” rimborso spese). Di fatto, chi sostiene la legittimità o l’opportunità di questa prestazione riproduttiva dovrebbe sapere che l’utero non è meramente un contenitore-incubatore intercambiabile ma è il raffinato strumento di comunicazione tra due esseri umani che si parlano in modo singolare e irripetibile costruendo un legame indissolubile tra gestante e feto che contribuirà a costituire non solo il corpo ma anche la struttura psico-affettiva del nuovo individuo. In effetti il feto riceve dalla gestante non solo il nutrimento ma esiste tra loro uno scambio di ormoni, di varie molecole, di cellule che attraverso la placenta entrano nella circolazione sanguigna della madre col fenomeno del micro-chimerismo andando a risiedere stabilmente all’interno di un tessuto, entrando a far parte integrante degli organi della gestante. Inoltre, attraverso il processo del cosiddetto imprinting materno-fetale, il nascituro percepisce le emozioni della madre, naturale o surrogata, costruendo una memoria a livello biochimico, epigenetico e somatico e modellando le strutture fondanti della personalità nella struttura psico-neuroendocrina. In conclusione, è un dato di fatto che vi è un dialogo molecolare continuo tra l’embrione e la madre fin dai primissimi giorni di gestazione. La gestante surrogata inevitabilmente vivrà la gravidanza in modo diverso da una madre naturale, ripetendosi che il bambino che cresce dentro di lei non è suo, che non lo potrà tenere e, comprensibilmente ergerà barriere per non affezionarsi. Il senso di accoglienza limitata potrà essere recepito dal bambino. Dal punto di vista psicologico le maggiori criticità si sono verificate nella madre surrogata al momento del distacco dal bambino per la difficoltà di “consegnare” il figlio surrogato al/ai committenti. La madre surrogata è certamente la persona fragile che rende questa pratica discutibile. La maggior parte delle madri surrogate, oltre al compenso finanziario, chiede di avere una relazione calorosa con i genitori previsti come parte della famiglia. La grande maggioranza dei genitori genetici rifiuta e vuole cancellare questa parte della storia del loro bambino, e questa cancellazione può portare a un disagio molto profondo per la madre surrogata. Da non dimenticare che nelle gravidanze surrogate vengono segnalati nella letteratura scientifica maggiori incidenze di complicanze gravidiche come diabete gestazionale, ipertensione gestazionale, preeclampsia, distacco di placenta, parto pretermine, basso peso alla nascita, emorragie post-partum. Sono stati riportati anche casi di isterectomia post-partum. Abbiamo il diritto di esporre una persona a questi rischi per soddisfare il nostro desiderio di un figlio genetico o semigenetico? La crescente industria riproduttiva internazionale, non sempre al servizio dei pazienti, in caso di insuccesso delle tecniche tradizionali, propone con sconcertante disinvoltura il passaggio dal concepimento extracorporeo della classica provetta al successivo cambiamento di ovuli e spermatozoi con quelli di donatori, seguito, se la gravidanza ancora tarda ad arrivare, dalla proposta di cambiare l’utero. Questa deriva sta trasformando la Procreazione medicalmente assistita in Procreazione medicalmente sostituita. Ma sostituire l’utero significa sfruttare donne con vari gradi di indigenza e umiliare la loro dignità. Una società civile a misura d’uomo deve affrancare le donne dal commercio del loro apparato riproduttivo, che costituisce una moderna forma di schiavitù femminile, con i mercanti di riproduzione che comprano gli uteri delle donne indigenti riducendole a contenitori-incubatori magari da abbandonare, a “prodotto” finito e consegnato, come accadde alle madri surrogate nepalesi durante il catastrofico terremoto del 2015. Ma non è solo lo sconcio del mercimonio a rendere non cedibile l’utero: l’utero non può essere ceduto neppure a un parente come presunto gesto oblativo proprio per la relazione unica e irripetibile che si instaura tra il feto e la donna che possiede l’utero nel quale il feto risiede temporaneamente, relazione che rischia di minare i rapporti tra consanguinei suscitando la competizione sulla titolarità del ruolo materno. Sradicare il vissuto prenatale di questa relazione gestante-feto significa infliggere una ferita perpetua nel nuovo nato e in chi lo ha dato alla luce. Nessuna giurisprudenza al mondo può regolamentare, misurare, censire, valutare gli scambi biologici dinamici, le emozioni e le tracce cellulari permanenti che restano nei due corpi e nelle due menti alla fine di quella intensa relazione. La pulsione a realizzare una qualche forma di genitorialità può diventare un desiderio tormentoso e doloroso per una coppia che tuttavia non deve mai dimenticare i diritti del bambino tanto desiderato. E il primo diritto di un bambino è conoscere la propria origine e non essere usato come un genere di consumo ottenuto a ogni costo.


(*) Eleonora Porcu è medica chirurga specialista in ostetricia e ginecologia, professoressa dell’Università di Bologna, membro del Consiglio superiore di Sanità


(Avvenire, inserto È vita, 22 giugno 2023)

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