di Luigi Ippolito, corrispondente da Londra
Mary Lou McDonald e il partito erede dell’Ira: «Faremo un referendum e lo vinceremo». «Il passato di Gerry Adams? Noi siamo facce nuove, senza barba»
Fa impressione soltanto vederle arrivare. Mary Lou McDonald e Michelle O’Neill, una col vestito verde color Irlanda, rossetto acceso, orecchini e collana scintillanti, l’altra coi capelli biondi e le unghie smaltate di rosso. La prima è la leader nazionale del Sinn Féin, il partito irlandese erede dei guerriglieri dell’Ira, la seconda è a capo della stessa formazione nell’Ulster. Sembra passato un secolo (e lo è) dalle immagini lugubri dei militanti repubblicani che sfilano armati e incappucciati nelle vie di Belfast. E appartiene al passato anche il volto di Gerry Adams, il leader storico del Sinn Féin (e capo dell’Ira), di cui Mary Lou ha preso il posto la scorsa settimana.
«Siamo facce nuove, senza barba», scherza lei col Corriere accarezzandosi il viso (e alludendo all’aspetto irsuto di Adams). Ma soprattutto volti di donna, in un movimento nazionalista che è rimasto sempre un affare di uomini ed è stato protagonista di una stagione di sangue in Irlanda del Nord che ha lasciato sul terreno migliaia di morti.
Che effetto fa – chiediamo – una leadership tutta femminile nel Sinn Féin? «È fantastico – esclama Mary Lou abbracciando Michelle -. Abbiamo forte il senso che questo è il momento delle donne nella vita pubblica. Certo, abbiamo bisogno di uomini in politica, ma è necessario un ribilanciamento. Io sono una femminista sfegatata e non potrei essere più lieta che il partito abbia scelto me e Michelle come leader. È il girl power! Stiamo prendendo il sopravvento!».
McDonald e O’Neill sono venute per la prima volta a Londra a incontrare la premier britannica Theresa May. «È stato un meeting lungo – racconta Mary Lou – è andato avanti per un’ora, c’è stato un franco scambio di vedute, ma ne sono uscita delusa e allarmata. C’è stata una polarizzazione sul terreno, in Irlanda del Nord, negli ultimi mesi».
E il problema, come è facile immaginare, è la Brexit, che ha rimesso in questione i delicati equilibri su cui si fonda la pace attuale. «La realtà – spiega la McDonald – è che la Brexit e gli accordi del Venerdì Santo (quelli che vent’anni fa hanno messo fine alla guerra civile, ndr) sono incompatibili. La Brexit rappresenta un chiaro e imminente pericolo per il funzionamento dell’economia e della società irlandese nella sua totalità».
Il nodo è il confine tra Ulster britannico a Nord e repubblica di Dublino a Sud: finora una frontiera fluida, adesso rischia di «solidificarsi» nel momento in cui la Gran Bretagna lascerà la Ue, perché diventerebbe la demarcazione esterna d’Europa.
«La Brexit è un problema in particolare per l’Irlanda – continua la McDonald – per la prossimità geografica alla Gran Bretagna, per i nostri legami commerciali e per i legami sociali fra le due Irlande. Non ci può essere un confine sulla nostra isola. Sarebbe catastrofico per il commercio, per l’accesso a servizi e per come la gente conduce la vita quotidiana: c’è chi ha la casa a Sud e la fattoria a Nord!».
Che l’unica soluzione sia forse la riunificazione? «Irlanda unita? Assolutamente sì!», esclamano all’unisono Mary Lou e Michelle. «Vogliamo non solo una riunificazione territoriale – continua la McDonald – ma reimmaginare una Irlanda rigenerata in senso democratico e inclusivo. La Brexit ha portato la questione alla luce: quando vediamo la prospettiva di una hard Brexit, noi diciamo che non è possibile avere un confine fisico in Irlanda. E la riunificazione è l’opzione ovvia sul tavolo».
Ma come è possibile arrivarci senza scosse? «Noi vogliamo un referendum e vogliamo vincerlo – spiega Mary Lou – ma soprattutto vogliamo un processo democratico basato sul massimo consenso, rispettoso delle differenze, del fatto che c’è una popolazione unionista che è britannica e che è fiera di esserlo. Ma noi siamo la generazione in grado di portare la questione a una conclusione democratica. E prevedo che nel corso del prossimo decennio guarderemo a un referendum sull’unificazione. Alcuni potranno dire che è affrettato, ma il nostro punto di vista è che il mondo nel quale viviamo e le sfide che affrontiamo siano meglio servite da una Irlanda unita».
(Corriere della Sera, 22 febbraio 2018)