6 Aprile 2021
Corriere della Sera

Una giurista per guidare il Kosovo. L’obiettivo è la pace con la Serbia

di Francesco Battistini

Prima il sudore della battaglia, poi le lacrime della vittoria: «Voglio dire solo questo. Che le donne hanno il diritto d’andare dove vogliono. Non smettete non smettete mai d’andare avanti! Tutti i vostri sogni possono diventare realtà…». Come piange, Vjosa Osmani. Tiene duro, finché può. Ma domenica sera, quando il Parlamento di Pristina l’elegge con 71 voti su 120 presidente del Kosovo e le tocca il discorso di ringraziamento, ecco che crolla commossa. Proprio lei, la tosta giurista che da dieci anni si scontra col machismo e con le ironie della politica balcanica. «Guxo!» – osate! – si chiamava il movimento che fondò per diventare deputata. A furia d’osare, ce l’ha fatta: presidente ad interim dopo l’arresto a novembre del presidente Hashim Thaci, finito sotto processo all’Aja per crimini di guerra, Vjosa è ora il settimo capo dello Stato in tredici anni d’indipendenza kosovara.

Dalle quote etniche alle quote rosa. Qualcosa è cambiato, al di là dell’Adriatico. E se la Croazia s’è già data (e s’è già tolta) una donna presidente, se la Serbia s’è scelta una premier dichiaratamente lesbica, per di più madre in una nazione che vieta le adozioni gay, ecco che il piccolo Kosovo evita il solito confronto d’etnie serbi-albanesi e per una volta punta su quello di genere. Mandando in Parlamento un terzo di deputate. Nominando un governo con sei ministre su quindici. E soprattutto scegliendo Vjosa, che era liceale quando Thaci comandava l’Uck e faceva guerra ai serbi; che è oggi una pragmatica idealista, nata nella città divisa di Mitrovica e formata nelle università americane. La novità Vjosa Osmani non è solo femminile: madre di due gemelle, parla cinque lingue, è titolare di cattedra a Pristina, ama più l’Ovest che l’Est. «Rafforzerò lo Stato di diritto», il suo motto, laddove questo significa sconfiggere la corruzione d’un Paese così giovane eppure già così marcio. E chiudere con i clan criminali che dominano la politica.

Quanto pesa Vjosa? Spinta dalla vittoria in febbraio del nuovo premier anti-casta Albin Kurti, suo sponsor, la nuova presidente ha 38 anni e ne durerà in carica cinque. Comanda le forze armate, ha voce in politica estera e il lavoro non le manca. Perché sono solo poco più d’un centinaio i Paesi che riconoscono il Kosovo: mancano le superpotenze Russia e Cina, amiche dei serbi, oltre a partner europei come la Spagna o la Grecia che temono da sempre l’effetto domino dell’indipendentismo. Dopo la piccola pace con Belgrado, la farsa dell’anno scorso a uso propaganda di Trump, i tempi sembrano maturi per un vero accordo con l’eterno nemico. «La pace ci sarà solo quando la Serbia ammetterà le sue colpe e si scuserà per la guerra del ’99», è il refrain della nuova presidente. Che in realtà rappresenta una nuova generazione stanca di negoziati inconcludenti, ben poco interessata al mito della Grande Albania, annoiata dalla retorica d’un infinito dopoguerra e molto preoccupata, semmai, dalle piaghe dell’emigrazione, dei redditi medi mensili congelati a 500 euro, d’una disoccupazione al 50 per cento.

Vjosa per la verità è la seconda donna a salire alla massima carica. Ma è la prima a poter contare davvero. Chi la precedette all’inizio degli anni Dieci, Atifete Jahjaga, provò senza successo a cambiare qualcosa: la stretta del «serpente» Thaci era ancora troppo forte.

Ma ora che un Kosovo più giovane s’affaccia al mondo, Vjosa e Kurti controllano le tre più alte cariche dello Stato. E possono giocarsela. Solo Ibrahim Rugova, il padre dell’indipendenza, il Gandhi che si perdette nell’inconcludenza, ebbe tanta popolarità e tanto potere: i suoi nipotini sapranno evitarne gli stessi errori?

(Corriere della Sera, 6 aprile 2021)

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