11 Giugno 2023
Avvenire

Una guerra che stanno perdendo tutti

di Marco Tarquinio


Tornano a farsi sentire lettori che cercano il dialogo sulla capitale questione del ripudio o dell’accettazione della guerra, della sua logica e della sua pratica. E che lo fanno a partire dalla tragedia d’Ucraina, conflitto di tipo primonovecentesco che continua a straziare in questo terzo decennio del XXI secolo il cuore orientale d’Europa e che ha un colpevole principale, il presidente russo Putin, e diversi correi. Molti congiurano a far più grave questo scontro armato. E la congiura prevede pure supponenti silenzi sui referendum anti-armi e pro-salute, che i professori Mastruzzo e Tutino ricordano, spiegano e brevemente e caldeggiano nelle loro lettere. Avviene snobbando o sminuendo la coraggiosa resistenza pacifista russa, il cui vessillo è oggi tenuto alto da Grigorij Javlinskij, leader del partito Jabloko. Ma se le armi sono l’unico modo per battersi, è “logico” dare più spazio agli attacchi di gruppi armati neonazisti russi che alle iniziative dei liberal nonviolenti anti-Putin… Ma la congiura avviene anche con le continue e assordanti propagande pro-escalation, straparlando e inseguendo una vittoria schiaccia-ucraini (a Mosca) e scaccia-Putin e spacca-Russia (a Kiev, e un po’ si può capire, e in mezzo Occidente). Ripeto, perciò, ancora una volta ciò che constato, dico e scrivo da molti anni: tutta la storia che abbiamo vergato col sangue dal 1945 in poi dimostra che le vittorie belliche non esistono più, esistono solo le sconfitte dei popoli che subiscono le guerre e l’incancrenirsi delle guerre stesse che, lo dico con rispetto ma con decisione al signor Signorini, continuano a produrre disastri sulla pelle dei «più deboli» anche quando vengono dichiarate finite. Corea, Vietnam, Congo, Sudan, Corno d’Africa, Israele e Palestina, Libano, Afghanistan, Iraq, Siria, Caucaso, Balcani, Africa Subsahariana, Libia… L’elenco dei popoli e dei territori piagati dal bellicismo è lungo e potrebbe esserlo assai di più, proprio come l’elenco delle ferite mai richiuse: stragi, distruzioni, stupri, persecuzioni per motivi religiosi, politici, etnico-linguistici, miseria, sradicamenti e diaspore, calcoli e azzardi cinici di governi e di speculatori… Al lettore che mi rimprovera, vorrei far notare che documentare, condividere e denunciare tutto questo non è solo «vedere l’oltre» di ciò che sta accadendo anche in Ucraina, ma è vedere per davvero il «qui e ora» della guerra. Una guerra che stanno perdendo disastrosamente tutti coloro che la conducono e la subiscono: l’umanità investita da questa «folle» e «sacrilega» (papa Francesco) tempesta assassina i russi mandati a invadere da Putin e gli ucraini, schierati da Zelensky a resistere in armi e di armi riempiti dall’America e dall’Europa che anche noi siamo. Siamo a quasi sedici mesi di nuovi massacri di persone, città e ambiente e il cerchio di morte e di sofferenza si allarga e travolge confini definiti intoccabili e trasformati in tragiche linee di battaglia. Tutto ciò dovrebbe aiutarci a capire. A Bruxelles, a Mosca, a Kiev e altrove. Eppure continua a pesare il partito della “guerra dei mondi”.

Anche un uomo pacato come Mario Draghi, al pari di altri esperti e potenti, invoca ora la vittoria militare totale della “parte giusta” ucraina. E l’Europarlamento stabilisce addirittura che produrre armi e munizioni è attività necessaria nella ripresa post-Covid e per il futuro della Next Generation Eu, la «prossima generazione» della Ue. Confermo di essere in fermo e dolente disaccordo con entrambi. Sono sostanzialmente d’accordo, invece, con Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”, che tra l’aggressiva Russia e l’Ucraina (oggi sostenuta, ma ieri non aiutata a dovere quando la politica poteva ancora evitare la guerra) vede profilarsi, e come male minore un po’ spera, quel «pareggio confuso» che Draghi giudica invece una sconfitta. Credo anch’io che sarebbe bene se venisse sancito presto un «pareggio », anche se inizialmente un po’ «confuso» dal punto di vista dei torti (dell’aggressore) e delle ragioni (dell’aggredito), perché questo significherebbe il cessate-il-fuoco e lo stop alla corsa sempre più forsennata verso la “sconfitta al quadrato” che si sta realizzando e che, in aggiunta agli orrori che continuano a indignarci, minaccia di precipitare il mondo in incubi già visti (disgregazioni di Stati) o che non vogliamo né vedere né pensare (uso di armi di distruzione di massa). I buoni cambi di regime avvengono solo per via civile e chi pensa che viaggino in carro armato prende atroci cantonate. Proprio come Putin e certi suoi avversari…

Ogni vittima di più, perciò, è intollerabilmente di troppo. E bisogna stare accanto a chi vuol tagliare gli artigli a quanti, nelle cerchie del potere moscovita, spingono per un’ancora più feroce «guerra d’attrito» russa e a chi s’entusiasma per la controffensiva ucraina (altre decine di migliaia di morti) e prevede e quasi reclama gli “scarponi a terra” dei soldati di un «volenteroso» (ricordate l’Iraq?) gruppo di Paesi Nato. L’Europa e l’Italia si sveglino! E lavorino finalmente per contribuire ad allargare il sentiero di pace aperto dalla missione voluta dal Papa e affidata al cardinale Zuppi. Missione che continua e che, se Dio vuole e se coscienza e ragione dei potenti (e dei prepotenti) torneranno a farsi sentire, riuscirà a dare frutto.


(Avvenire, 11 giugno 2023, pubblicato con il titolo “Scelte belliche, quesiti silenziati. L’urgente ‘pareggio’”)

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