16 Settembre 2023
il manifesto

Un’educazione non violenta si realizza in classe

di Assia Petricelli


Nelle ultime settimane, a seguito degli stupri di Caivano e Palermo, da più parti si sta sottolineando il ruolo della scuola nel contrasto alla violenza di genere. Sulla base della mia esperienza, ritengo che interventi di educazione all’affettività siano tanto più efficaci quanto più radicati nella routine scolastica. Iniziative spot, non adeguatamente valorizzate, rischiano di essere non solo inutili, ma controproducenti.

Un’educazione non violenta dovrebbe realizzarsi tutti i giorni in classe, con le e i docenti curricolari, opportunamente formati, in maniera continuativa e trasversale, vestendo un’ottica di genere come un paio di occhiali che consentono non solo di vedere meglio, ma di vedere anche ciò che sembra invisibile.

Negli anni ho sperimentato personalmente diverse attività: dalla decostruzione degli stereotipi insiti nel linguaggio di tutti i giorni e in quello dei media alla critica ai libri di testo per rintracciare e correggere errori e omissioni; dalla ricerca della matrice dei pregiudizi odierni nelle scritture antiche (leggete le parole con cui si celebravano le virtù femminili nelle epigrafi funerarie latine o confrontate i termini con cui Cicerone tratteggia la figura di Clodia nella Pro Caelio con sentenze recenti di processi per stupro) alla riscrittura di testi dal punto di vista di chi tradizionalmente è oggetto, non soggetto di narrazione; dalla scoperta e racconto di figure femminili poco note allo studio di autrici come regola, non eccezione, fuori da moduli al femminile, schede e altri recinti nei quali tradizionalmente la scuola e i libri di testo confinano i saperi delle donne, fino alla lettura in classe ad alta voce di opere che affrontano le tematiche della crescita, della scoperta del corpo e dei sentimenti (non esistono letture imprescindibili, quel che conta sono le domande poste al testo e le risposte negoziate da un gruppo che agisce come comunità ermeneutica sotto la guida della docente).

Tali attività hanno incontrato sempre interesse e partecipazione da parte delle alunne, ma non di rado un muro di indifferenza o diffidenza, quando non di aperta ostilità, da parte degli alunni.

Da qualche tempo, dunque, mi chiedo come coinvolgere in una educazione ai sentimenti anche i ragazzi, che sono coloro che potenzialmente agiscono la violenza. Le strategie che ho elaborato finora sono sostanzialmente tre.

La prima è la lettura di libri che raccontino la violenza di genere dal punto di vista maschile, come nel romanzo Mia di Antonio Ferrara.

La seconda consiste nell’affidare a gruppi di studentesse, adeguatamente preparate, la conduzione di lezioni e dibattiti: esse sono spesso in grado di trovare le modalità e le parole più efficaci per educare i propri pari. Nello scorso anno ho lavorato in questo modo sul libro Consenso, possiamo parlarne? edito da Settenove.

Infine, avendo riflettuto sulla difficoltà dei ragazzi di sentire ed esprimere le proprie emozioni, ho realizzato dei laboratori di scrittura del sé, in cui, a partire da un breve stimolo accuratamente scelto (preziosi gli albi illustrati, ad esempio Il catalogo dei giorni di Tortolini e Tieni), gli e le studenti sono invitati a scrivere di getto per un determinato tempo e poi a leggere di quanto prodotto soltanto ciò che desiderano, senza alcuna forma di giudizio né discussione, ma soltanto come momento in cui ciascuno dona agli altri qualcosa di sé e gli altri la accolgono.

Queste sono soltanto alcune delle attività che ho sperimentato, molte altre possono essere immaginate e realizzate. È importante, però, che esse non vivano soltanto nel chiuso di singole aule, ma che trovino sempre più spazi di condivisione, riflessione e confronto, sulle pagine dei giornali e in luoghi fisici come l’incontro annuale della rete Educare alle differenze, che si svolgerà nel prossimo fine settimana a Bari.

Da queste occasioni di messa in rete delle esperienze è possibile trovare in primis la forza per produrre cambiamento nei collegi, nei consigli di classe e di nuovo nelle aule, e poi, mi auguro, anche la voce con cui tornare a parlare alla politica.


(Il manifesto, 16 settembre 2023)

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