1 Dicembre 2020
Avvenire

Utero in affitto. Francesca Izzo: «Figli come merci, scandalo globale»

Antonella Mariani


L’esponente della Coalizione internazionale contro l’utero in affitto: si assimila la procreazione alla produzione, adesso vogliono «liberare» la donna dalla maternità.

Del business del trasporto di embrioni crioconservati da una parte all’altra del globo non ne sapeva nulla, ma Francesca Izzo si dice tutt’altro che sorpresa dopo la lettura del reportage pubblicato domenica da Avvenire. Lei, già parlamentare Pd, tra le fondatrici della rete femminista Se non ora quando – Libere e tra le referenti italiane della Coalizione internazionale contro l’utero in affitto (Ciams), commenta che «è uno sviluppo inevitabile».

Uno sviluppo di cosa, professoressa Izzo?

Della frammentazione del processo riproduttivo. Se si assimila la procreazione alla produzione, allora è possibile che essa avvenga in momenti diversi, separati nel tempo e nello spazio.

Un bambino come una scarpa da tennis?

Sì, è così. I lacci si producono da una parte, la tomaia da un’altra, le suole in un altro luogo ancora. Poi i diversi elementi vengono assemblati. Sulle pagine di Avvenire è stata descritta la globalizzazione della riproduzione. Il bambino è un oggetto che può essere scomposto nelle sue parti in qualunque luogo del pianeta e poi assemblato.

L’assemblaggio avviene nel corpo di una donna, che scompare in quanto madre…

Non a caso noi insistiamo nel voler considerare la procreazione come un processo unitario, in cui il desiderio iniziale di un figlio e la sua realizzazione diventano un essere umano, legato alla madre che l’ha messo al mondo.

Diceva che non si è stupita nel leggere il reportage che documenta il triste mercanteggiamento di embrioni. Perché?

Perché il processo di segmentazione della procreazione, di cui la spedizione di embrioni è uno degli ultimi tasselli, serve a far accettare sempre di più quello che si sta preparando nei laboratori di tutto il mondo.

Cosa si sta preparando?

L’utero artificiale, con l’eliminazione di ogni possibile imperfezione del nascituro e della stessa maternità. E sa qual è la cosa sorprendente?

Quale?

Che una parte del mondo femminile plaude a questo processo, perché si immagina che liberandosi dalla maternità la donna sarà finalmente al pari degli uomini, senza trasformazione del corpo, senza appesantimento del tempo… Liberarsi della maternità è il diktat che nasce dall’alleanza perversa tra gli imperativi di una società che vuole omologare uomo e donna e la spinta a tecnicizzare ogni processo. Ecco allora che se la donna è “liberata” dalla maternità e dunque da tutto ciò che la lega alla natura, non c’è più necessità di cambiare la società. Tutto può restare com’è, togliendo di mezzo quello che distingue l’uomo dalla donna.

Professoressa Izzo, lei ha respirato la cultura comunista, è una esponente di spicco del femminismo della differenza, però per poter affermare la sua contrarietà all’utero in affitto ha dovuto uscire dal Pd, con Licia Conte e Francesca Marinaro. Singolare, non trova?

Questo tema è terreno di scontro, è una linea di faglia, di ripensamento di cosa sia la cultura progressista. Nel 2018 siamo uscite dal Pd perché su questi temi le posizioni del partito sono allineate a un progressismo radicale che non ho mai condiviso. E nessuno ci è venuto dietro.


(Avvenire, 1° dicembre 2020)

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