15 Giugno 2020
Corriere della Sera

Vince sempre l’incompetenza maschile

di Severino Salvemini


Le quote rosa sono state utili, è vero. […] Ma il problema non è affatto risolto. […]

Forse il tema va affrontato un po’ diversamente, come fa il libro dello psicologo aziendale Tomas Chamorro-Premuzic, pubblicato dalla Harvard Business School Press e ora tradotto in italiano per i tipi di Egea con il titolo provocatorio «Perché tanti uomini incompetenti diventano leader?».

Il volume di Chamorro-Premuzic si concentra prevalentemente sui comportamenti maschili, rovesciando quindi la prospettiva d’osservazione. Poiché tutti noi desideriamo una migliore classe dirigente non dobbiamo abbassare gli standard per promuovere il genere femminile per dare loro uguali opportunità, bensì occorre alzare l’asticella quando selezioniamo il genere maschile, in modo che nulla venga dato per scontato, in primis merito e competenza.

Così si solleva il telo rispetto al re nudo, giudicando effettivamente la leadership del nostro ceto direttivo. D’altra parte, qualche settimana fa, anche l’ex presidente Usa Barack Obama, in un discorso dedicato ai laureandi, si è espresso in modo non canonico sulle competenze dei leader, ricordando che esse sono ormai merce rara e che proprio l’attuale pandemia ha reso evidente che molte delle persone al comando – pur godendo di alta retribuzione e alta reputazione sociale – non sanno quello che fanno.

La questione è la seguente: perché quando proponiamo i maschi per le posizioni di vertice, alcuni tratti che dovrebbero accendere semafori gialli perché predittivi di potenziali fallimenti (l’overconfidence sulle loro potenzialità, l’autostima egoriferita e narcisistica, la pervicacia nel voler raggiungere a tutti i costi gli obiettivi oppure l’indole al comando autoritario) vengono scambiati per doti straordinaria mente positive? E spesso condensate nella parola carisma, ormai così consunta e spuntata da non comprendere più alcun significato preciso?

E perché il sistema continua a premiare le caratteristiche del maschio «alfa», e cioè il protagonismo rispetto all’umiltà, l’estroversione rispetto alla sobrietà, la voce grossa rispetto all’understatement, l’azzardo rispetto alla prudenza saggezza? E mentre il genere maschile sembra non avere soverchi ostacoli nel percorso di carriera, le colleghe femmine continuano a lottare contro stereotipi culturali molto diffusi, nonostante i vari programmi a favore della diversità e dell’abbattimento del «soffitto di vetro».

Al bando dunque gli atteggiamenti mascolini, intesi come stili virtuosi di comportamento per imporre la leadership e per conseguire credibilità per incarichi di potere e di responsabilità.

[…]

Mai più avremmo pensato che, a distanza di quasi trent’anni, ci saremmo trovati ancora qui a stigmatizzare il modello «alfa» come modello di ruolo per fare carriera.


(Corriere della Sera – Inserto Economia, 15 giugno 2020)

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