di Franca Fortunato
Leggendo il libro Senza paura. La nostra battaglia contro l’odio del senatore Alessandro Zan, la mia empatia iniziale si è ben presto trasformata in indignazione per come si scaglia contro quelle donne che, come me, chiedono modifiche al suo Ddl che, nato per contrastare le discriminazioni di gay, lesbiche e trans, è diventato molto altro. Empatia quando racconta di come nell’adolescenza ha scoperto di essere gay, della paura, del terrore di dirsi e dire la sua omosessualità, costringendosi a rendersi invisibile, a se stesso e agli altri, a partire dal padre, elettore leghista e omofobo. Il suo percorso di liberazione, personale e politico, è lungo e doloroso come per tanti gay, lesbiche e trans. Un percorso in cui, come ogni donna, si è dovuto misurare con una cultura patriarcale millenaria, pensata da uomini, appartenenti al suo stesso sesso. Una cultura che ingabbia, donne e uomini, in ruoli ed identità sociali, di cui noi ci siamo liberate, conquistando un senso libero del nostro essere donne. Il patriarcato non “scricchiola”, come scrive Zan, ma, grazie alle donne, alle femministe, è finito, come ci mostrano anche le immagini delle afghane scese in piazza contro i talebani. È finito perché nessuna donna al mondo gli dà più credito, mentre ci sono ancora molti, troppi, uomini che vi aderiscono e si ribellano alla libertà femminile, uccidono le donne, le stuprano, le prostituiscono. Ma se Zan, nonostante tutto, ha potuto portare avanti la lotta per la sua liberazione lo deve anche alle femministe radicali, che, a partire dagli anni ’70, hanno cambiato questo Paese, cambiando se stesse e i rapporti tra donne e uomini.
La libertà femminile è un guadagno anche per gli uomini, al di là dell’orientamento sessuale. Ma il senatore Zan, nel suo libro, non è grato a quelle donne, anzi, è sprezzante, manipola e distorce la verità delle loro critiche e modifiche richieste alla sua legge, le bolla come “transfobiche”, le accomuna ignominiosamente alla Destra, le contrappone alle altre e le addita al pubblico ludibrio. Non c’è niente di più patriarcale e violento di questo comportamento, da parte di un uomo che scrive di voler “creare una società post -patriarcale” non violenta. Anch’io, su questa rubrica, ho avanzato e argomentato le critiche e le modifiche al Ddl Zan, e sfido il senatore a trovare una mia sola parola di odio contro gay, lesbiche e trans, di cui scrivo da anni e che, attraverso i libri di donne come Delia Vaccarello, ho imparato a conoscere, ascoltare, rispettare e l’ho insegnato anche alle mie alunne e alunni. C’è disonestà intellettuale nelle sue accuse, c’è ignoranza del femminismo della differenza, c’è arroganza di un uomo di potere che pensa di avere la verità assoluta e pretende di spiegarmi/ci che l’essere donna “non passa solo dai corpi”. Ma, quel “non solo” non cancella i corpi, a partire da quello della madre, la donna che, liberata dal destino millenario della maternità sacrificale patriarcale, ci dà il dono della vita e della parola e ci rende libere/i nella relazione con lei. La legge del senatore istituzionalizza la cancellazione della differenza sessuale, delle donne, con i termini “genere” e “identità di genere” portatori di un linguaggio in cui, per essere inclusivo e non transfobico, le “madri” e le “donne” diventano “genitori che partoriscono”, “persone con vagina”. È il neutro universale asessuato patriarcale del post-patriarcato. Il senatore Zan non sa ascoltare le donne, insulta, giudica e condanna, come facevano i suoi padri. È l’uomo patriarcale del post-patriarcato.
(Il Quotidiano del Sud, 1° ottobre 2021)