6 Marzo 2015

Dare voce al pensiero

Un incontro con Marirì Martinengo

di Marcella Toscani

Allo scopo di riflettere su alcune esperienze che hanno proposto un modello “altro” rispetto a quello imposto e imperante mi sto concentrando sul tema dell’educazione, essendo questo uno degli ambiti principali attraverso il quale avviene l’inserimento dei giovani all’interno della società. Inserire gli individui all’interno del tessuto sociale significa mostrare loro i modelli cui devono, consciamente o inconsciamente, sottostare. Come scriveva Freud: «Le discipline funzionano come tecniche per fabbricare individui utili». Il modello viene imposto attraverso i modi più capillari, arrivando a toccare gli aspetti più privati della vita. Approfondire il tema dell’educazione non è che uno dei modi per tentare di comprendere come questi meccanismi funzionano e sono organizzati per renderci ciò che siamo. Inoltre, fare luce su quelle esperienze che hanno tentato di scardinare la situazione data aiuta a comprende quanto esse siano essenziali e quanto si mantengano importanti in un oggi in cui agli individui non è rimasta che un’illusoria sensazione di libertà.
Il progetto della pedagogia della differenza sessuale avviato da Marirì Martinengo s’inserisce tra queste esperienze. Il suo tentativo fu quello di uscire dal dualismo uomo/donna, dualismo che definisce cosa è uomo e cosa donna e dà precise indicazioni circa come deve essere un soggetto di sesso maschile e come uno di sesso femminile. Il progetto è stato realizzato negli anni Ottanta ma rivela aspetti e problematiche che si dimostrano essere ancora molto attuali.
Ho studiato storia dell’arte quindi desidero partire proprio da lì per parlare, in breve, del contesto che si apre dalla fine degli anni Sessanta. Verso la fine degli anni Sessanta, infatti, e poi soprattutto negli anni Settanta, la vita privata di tutte le donne entra violentemente nel mondo dell’arte, portando all’attenzione tutto ciò che fino a quel momento era rimasto in ombra, chiuso tra le mura domestiche. La donna rifiuta di continuare a essere mero oggetto della rappresentazione e dello sguardo maschile e diviene soggetto pensante e agente. Così facendo, per la prima volta nella storia, le donne si sono inserite in una narrazione che si era basata unicamente sul mito dell’artista genio uomo (come ha perfettamente descritto Linda Nochlin nel suo saggio del 1971, Why There Have Been No Great Women Artists). Il mondo dell’arte riflette lo sviluppo delle teorie che interessano gli stessi anni e a volte arriva ad anticipare i risvolti pratici delle stesse.
Tentando appunto di concentrarmi su alcune delle esperienze pratiche che hanno avuto una ricaduta sul sociale, ho rivolto la mia attenzione all’esperienza d’insegnamento di Marirì Martinengo nella scuola media Marelli di Milano, un progetto che è stato realizzato tra il 1985 e il 1987. Il progetto nasceva da teorie che Martinengo stava portando avanti da diversi anni nella Libreria delle Donne di Milano. La risoluzione pratica delle riflessioni avvenne grazie alla collaborazione con altre insegnanti e con alcune donne della Libreria.
Nell’introduzione del libro educare nella differenza si legge: «Il divenire culturale del genere femminile è rimasto inerte, bloccato, isterilito da ordini simbolici non suoi». La ricerca di un ordine simbolico adatto al sesso femminile fu il punto di partenza, mentre il rapporto di affidamento fu il centro dell’esperienza.
Marirì scrisse: «Siamo riuscite a tradurre in pratica un percorso didattico il cui senso più forte consiste nell’aver rotto la rigidità dell’istituzione-scuola e i modelli di omologazione che propone».
Un esempio che differenzia i maschi dalle femmine sta nel fatto che quasi tutte le ragazze tengono un diario. Scrivere un diario risponde al bisogno di trovare un luogo e un tempo per l’esplorazione di sé. Dal momento in cui una bambina tiene un diario, quelle costrizioni della condizione femminile hanno già agito. Non a caso si parla di diario “segreto” perché è lì che devono essere nascoste quelle cose che non possono essere dette a nessuno, quelle cose da tenere solo per sé. Questo equivale a dire che le esperienze fondanti del femminile nella società patriarcale devono rimanere nascoste e cadere in fantasticherie. Marirì offre alle alunne la possibilità di leggere i diari, per dare voce al pensiero, per permettere allo stesso di riconoscersi in un linguaggio e quindi di riconoscerne la dignità e il diritto di esistere. Le parole su quei diari rappresentano i desideri delle ragazze. La volontà dell’insegnante era di esprimere liberamente la ferma convinzione per cui il desiderio liberato può produrre contesti nuovi, creativi. Esso costituisce e costruisce nuovo sapere. Racconta: «Le ragazze hanno parlato, si sono ascoltate, hanno espresso contenuti sotterranei: in una scuola dove il leggere, lo scrivere, il ripetere saperi prodotti altrove sono le abilità linguistiche e cognitive privilegiate, se non esclusive, esse hanno usato le loro parole. La parola che sgorga è il mezzo espressivo meno mediato, si fa strada tramite la voce, strumento assolutamente personale, fedele interprete del corpo».
Riflettere sulla pedagogia della differenza sessuale è stato per me riflettere su un’esperienza importante, un progetto che, nonostante la sua breve durata, è stato in grado di scardinare il modello esistente e imposto, quello patriarcale e maschilista, un modello in cui le donne sono – per ricordare Simone de Beauvoir – “secondo sesso”, il subordinato, il linguaggio che non ha voce.
Dividere una classe tra ragazze e ragazzi sfatava la moderna presunzione di aver risolto la differenza sessuale con l’equiparazione delle donne agli uomini, evidenzia una diversità femminile cui dar spazio e tempo perché estragga da sé una sua potenzialità originaria, fonti di un nuovo sapere che rompa con la falsa universalità della cultura, una cultura che unisce maschi e femmine ma che trasmette una cultura che è solo maschile, per giunta vestendosi di presunta neutralità.
Il progetto è terminato dopo due anni a causa dell’allontanamento di Marirì dall’insegnamento ma esso non è stato dimenticato, non è svanito. I due anni d’insegnamento hanno dato vita a un nuovo rapporto di affidamento: quello con il gruppo insegnati denominato Magistra.
La ricerca per questo progetto è sfociata nella formazione del Gruppo Interistituzionale (Libreria delle donne di Milano, Osservatorio Donne Istruzione del CISEM, Provveditorato, Scuole Statali). Il gruppo, composto da varie personalità, è diventato operativo nel 1988 con l’elaborazione di un programma di un seminario destinato alle docenti delle scuole medie e del biennio delle superiori.
Scegliere di educare nella differenza è stata una necessità più che una scelta, «una necessità da cui dipende il fatto che l’universo teorico e pratico dell’educazione e della trasmissione del sapere, la scuola e i processi formativi, dimettano il loro carattere fittizio per diventare finalmente qualcosa di vero corrispondente appunto alla reale esistenza dei due sessi, alle loro differenti e autonome esigente e aspirazioni di crescita umana e culturale».

3 marzo 2015

 

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