4 Aprile 2018
#VD3

Diventa più grande l’orizzonte della politica – Introduzione

Introduzione all’incontro di Via Dogana 3: Diventa più grande l’orizzonte della politica domenica 18 marzo 2018

 

Silvia Baratella, della redazione di Via Dogana

 

Preparando questo incontro, una considerazione ci è venuta spontanea: il #metoo ha mostrato che le donne sono sì dappertutto, ma ci sono arrivate da sole. E si sono fatte male: hanno potuto incidere poco, e hanno pagato prezzi alti.

 

Le molestie e i ricatti sessuali sono solo una parte del problema. A questo proposito è emblematica la storia di Rosalind Franklin, citata nell’invito.

Nel 1951, Rosalind Franklin fu chiamata al King’s College di Londra come ricercatrice associata, dopo aver già svolto importanti lavori in altri prestigiosi laboratori. Ebbe gravi conflitti con il suo collega Maurice Wilkins, che tentava di usarla come assistente personale, mentre lei mantenne tenacemente un ruolo autonomo a costo di non parlargli più. Rosalind fotografò l’elica del DNA. Wilkins a sua insaputa comunicò i risultati del suo lavoro a Watson e Crick. Per Watson la celebre “foto n. 51” fu l’elemento determinante per orientarsi tra le strutture che stava ipotizzando e “pubblicò” il modello insieme a Crick, guadagnando la fama, vincendo il Nobel, e guardandosi bene dal coinvolgere l’autrice.

La scoperta del DNA ha una genealogia femminile: è figlia della foto scattata da Rosalind con un’apparecchiatura a raggi X che doveva la sua esistenza alle scoperte di Marie Curie. Eppure è andata nel mondo come “figlia” di una coppia di soli maschi.

È vero, parliamo di un altro momento storico, le donne non erano ancora entrate in massa in tutti i luoghi di lavoro, non c’era ancora stato il femminismo. Tuttavia quello che è successo a Rosalind Franklin rimane un esempio emblematico di prevaricazione maschile. Quelle che oggi vengono genericamente chiamate “discriminazioni” sono ben altro. È ora di chiamarle con il nome appropriato: rapina intellettuale, prevaricazione professionale, plagio di idee, furto economico, paternalismo, per dirne qualcuno.

 

Da questo allargamento della questione delle sopraffazioni maschili ripartiamo per parlare di cosa succede in Italia dopo il #metoo.

Le silence breakers italiane (Asia Argento, Miriana Trevisan e Giulia Blasi) non hanno avuto lo stesso grado di ascolto delle loro compagne in altri paesi. Sono state meno credute e subissate di considerazioni misogine su quando se e come potessero legittimamente parlare. Solidarietà però c’è stata, badiamo bene, e se talvolta è stata sminuita o respinta, questo è stato un errore. In ultimo Asia Argento l’ha accettata, aderendo alla manifestazione di NonUnaDiMeno dell’8 marzo, in cui è stata accolta dai cartelli “Sorella, io ti credo”. Altre cose sono accadute: è nato l’hashtag italiano #quellavoltache (ne è anche stato tratto un libro uscito in questi giorni, #quellavoltache – Storie di molestie, manifestolibri), ma non ha avuto lo stesso impatto travolgente sull’insieme della società e gli uomini denunciati non hanno subito gravi danni. Eppure il clima è cambiato anche qui e sono convinta che abbia influito su vicende come l’espulsione del magistrato Bellomo dall’organo di autogoverno della magistratura amministrativa.

 

Ma altre cose si muovono, gli abusi contro le donne sono da anni al centro dell’impegno di una rete di centri antiviolenza, un hashtag intitolato #IosonoLinaMerlin è stato lanciato di recente da Resistenza femminista per combattere le proposte di regolamentazione della prostituzione, e da tempo è in atto una resistenza all’introduzione in Italia della maternità surrogata.

 

Nel mondo del lavoro, gruppi di donne sono partite dal #metoo per costruire relazioni e produrre riflessioni non solo su ciò che c’è da denunciare, ma su come la propria posizione professionale possa far gioco alle donne.

È questo che fa il manifesto “Dissenso comune” (1° febbraio 2018), firmato da 124 donne del mondo dello spettacolo, nato da lunghi confronti. Una presa di posizione ricca di pensiero. Cito anche la lettera “È ora di cambiare. Noi ci siamo” (4 febbraio 2018) firmato da 125 giornaliste, che rimanda esplicitamente al primo. Entrambi sono stati ripresi sul nostro sito.

 

A differenza di altre, noi non vediamo queste iniziative politiche come un’alternativa a #metoo. Sono pratiche diverse che gli si affiancano, allargando l’orizzonte: queste donne, che sono andate nel mondo da sole, ora non lo sono più. Ci mostrano un cambiamento in atto.

Per parlare di questo avevamo invitato le autrici di Dissenso comune. Doveva venire Ilaria Fraioli, che ha avuto un contrattempo lavorativo e ha dovuto disdire l’impegno. Lei e le altre ci hanno comunque mandato un contributo scritto, che Rosaria Guacci leggerà per noi.

 

Qui in Italia, la strada che può essere usata più efficacemente è quella di stare tutte in quest’orizzonte più grande, sapendo che fare cose diverse allarga il campo; che per le polemiche c’è spazio ma che per fare politica è essenziale riconoscere la forza che ci dà l’altra e rimandargliela, anche quando non si fanno le stesse cose.

Ne parliamo con Maria Nadotti, giornalista, saggista, consulente editoriale, traduttrice e molto altro. Maria collabora con Internazionale e tiene un blog intitolato “in genere” sul sito di Doppiozero.

Maria ha già iniziato un’interlocuzione con noi nel precedente incontro di #VD3, Parlano le donne parlano il 14 gennaio scorso, che desideriamo continuare in questa sede.

 

(Via Dogana 3, 4 aprile 2018)

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