Cecilia D’Elia
“A metà del XX secolo si è verificato un avvenimento di cui fatichiamo a valutare la portata, cent’anni dopo la nascita di colei che l’ha espresso a chiare lettere: il secondo sesso è libero! … si trattava e si tratta ancora di una mutazione antropologica in corso” così Julia Kristeva nell’introduzione alla nuova edizione del Secondo sesso di Simone de Beauvoir.
Questo mutamento è potente, mette in discussione una millenaria storia di controllo del corpo femminile. Una storia in cui la violenza maschile contro le donne non era riconosciuta e nominata. Durante l’ultimo dibattito contro il femminicidio a cui ho partecipato un’importante dirigente sindacale ci narrava una memoria infantile fatta anche del nonno che prendeva a bastonate sua nonna.
Poi qualcosa è successo, nella seconda metà del secolo scorso. Non si può non partire da questo, dalla soggettività femminile che nasce e cambia tutto, compresa la vita degli uomini. Ma un cambiamento così grande non è un battito di ciglia. Ognuna di noi nella sua esistenza, anche se non ha incontrato o sfiorato la violenza personalmente, conosce lo scarto tra la propria consapevolezza e libertà e un corpo che nello scontro fisico è più debole.
Quello che abbiamo sotto gli occhi e che ormai chiamiamo femminicidio non è frutto dell’arretratezza. Abbiamo mutuato un termine, che non a tutti e a tutte piace, per superare la natura neutra del termine omicidio. Un termine nato in ambito internazionale per togliere dall’invisibilità le donne ammazzate in Messico. Un termine che dice della natura sessuata di questa violenza. Ci può aiutare a togliere dalla cronaca nera la contabilità di queste morti e vederle per quello che sono, una grande ferita nella nostra convivenza, che va assunta dalla politica e dalle istituzioni come una priorità. Farebbe bene alla qualità del dibattito delle primarie del centrosinistra parlare anche di questo.Negli Stati Uniti i democratici ne hanno fatto un tema rilevante della loro battaglia politica. Si voterà per le primarie il 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza maschile sulle donne. Una coincidenza da far diventare occasione di impegno. Per esempio per assumere come coalizione la convenzione No more! , promossa da tante associazioni e realtà italiane. Nel giugno 2012 la Relatrice Speciale della Nazioni Unite sulla violenza contro le donne ha rivolto al nostro governo una serie di raccomandazioni, denunciando l’allarmante numero di casi di femminicidio, il persistere di un contesto maschilista, che giustifica la violenza, l’assenza di rilevamento di dati sul fenomeno, l’attitudine a rappresentare donne e uomini in maniera stereotipata e sessista.
La convenzione No more! richiama l’Italia ai suoi impegni internazionali e individua le politiche adeguate in termini di investimenti, monitoraggio, servizi, prevenzione, formazione, giustizia. Non è affare solo di ministre alle pari opportunità. Ci vuole un grande investimento, una mutazione culturale degli apparati.
Una mutazione antropologica ha bisogno di risorse simboliche che accompagnino questo nuovo vivere.
Cristina Comencini nel dialogo “L’amavo più della sua vita” andato in scena a Torino in occasione dell’iniziativa di Se non ora quando contro il femminicidio, ha illuminato lo smarrimento giovanile.
Intere generazioni di liceali hanno letto e studiato I promessi sposi, il romanzo monumento della lingua italiana si muove a partire da una scommessa di Don Rodrigo con il cugino, l’oggetto della scommessa è Lucia. Oggi diremmo che è la storia di uno stalking. Ma non credo che in molte classi di oggi si rifletta sulla natura sessuata della cultura predatoria di Don Rodrigo.
E invece siamo chiamati a vedere e nominare la violenza che abbiamo attraversato, lo dobbiamo al presente, alla possibilità di costruire una nuova educazione sentimentale per uomini e donne liberi.