24 Febbraio 2021

Donne del PD: ma dov’è la politica?

di Paola Mammani


Le donne del PD hanno trovato intollerabile che non vi fosse almeno una donna a occupare uno dei tre posti da ministro assegnati al loro partito nel governo Draghi.

Nelle dichiarazioni rilasciate alla stampa, non una parola sulle loro competenze, su qualche particolare obiettivo da perseguire o su forme della politica da innovare o produrre che non fosse l’appello al rispetto delle quote, al 50 e 50, dunque alla semplice parità numerica con gli uomini, cui aspirano per il “solo” fatto di appartenere al sesso femminile che è la metà dell’umanità. Annosa, più che decennale frattura con buona parte del movimento delle donne che non ha mai aderito a questa forma semplicistica di misura politica, per più di una fondata ragione. Prima fra tutte che l’appartenenza al sesso femminile non richiede alcuna rappresentanza, unica ragione “logica” che giustifica, invece, la richiesta di ricoprire il 50 per cento degli incarichi. Se mai tale forma ha avuto senso per classi e ceti sociali, certamente non ne ha per le donne che, pur riconoscendosi prima di tutto reciprocamente in quanto donne, quando si tratta di votare seguono i propri interessi personali, sociali ed economici, o le loro idee, gli ideali, le ideologie. È un dato di fatto che le donne non hanno mai votato per le loro simili solo perché donne, altrimenti avrebbero garantito loro il 50 per cento dei voti, trattandosi della maggioranza dell’elettorato. Anche solo questa constatazione avrebbe dovuto farle rinsavire, queste donne del PD e quelle che le hanno precedute. Se non è stato l’elettorato femminile, prima di tutto, a dare alle candidate il 50% delle preferenze, quando erano esprimibili, a che titolo richiedere una pari quota agli uomini? E comunque, passi pure la richiesta di pari e alternata presenza nelle liste elettorali ora che le liste sono “bloccate”, alla fine è faccenda che riguarda loro, i loro partiti e gli uomini con i quali hanno contrattato. Ma che in nome della parità, e cioè della sola appartenenza al sesso femminile, pretendano addirittura di diventare ministre, è cosa che quasi indigna, specialmente in questi tempi di pandemia in cui tanta, ben visibile autorità femminile si è manifestata nella società, dalle infermiere alle mediche, alle ricercatrici, alle scienziate. Anche il tono quasi piagnucoloso delle rimostranze rischia addirittura di minare la loro autorità alla radice, mentre è sotto gli occhi di tutti l’autorità esercitata nel mondo dalle donne sulla scena politica, in particolare dalle tre che sono state capaci di attivare le mediazioni necessarie a traghettare l’Europa verso il Recovery fund. Potrebbero quindi guardare con interesse alle parole di Christine Lagarde che avendo raggiunto posizioni di massimo potere, in un’intervista a Io Donna del 2 gennaio scorso, riconosce che proprio l’essere donna le ha consentito di raggiungere e mantenere con successo ruoli di primissimo piano.

Franca Chiaromonte e Letizia Paolozzi consigliano alle donne del PD di “fare squadra” all’interno delle correnti cui appartengono. La proposta ha il pregio di suggerire qualche cosa che ha a che fare con la politica, quella vera. Le donne del PD, infatti, sembrano ignorare del tutto le conquiste fondamentali del pensiero politico delle donne. Non si approda con autorità sulla scena politica semplicemente perché donne, ma solo se tale differenza diventa portatrice di un significato di riconosciuto valore per sé e per altre che per questo ti appoggiano dentro e fuori il partito. L’autorità che non hanno, che non si sono guadagnate fra le loro simili, non c’è nessuna quota che può dargliela. Grinta e pervicace presenza sulla scena pubblica sembrano contraddistinguere solo le infatuate dei diritti a tutti i costi, che riescono così a cancellare la differenza sessuale. Per esempio, quelle, parlamentari e non, che si lanciano spedite a difendere un presunto diritto a far figli purchessia, con la cosiddetta gpa, gestazione per altri, che rende le donne meri recipienti di creature: un affronto alle loro simili e al buon senso, misoginia spicciola, altro che politica.


(www.libreriadelledonne.it, 24 febbraio 2021)

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