di Giovanna Pezzuoli
Ma doveva proprio capitarmi una madre femminista? Provocazione che più o meno significa: una madre che non è sempre disponibile quando ne ho bisogno perché perennemente impegnata a fare altre cose (e magari domina anche papà…). Da questo disagio nasce un dialogo, un’opera collettiva, un lavoro durato sette anni che è una sorta di lunga lettera per raccontare alla figlia ragioni e sentimenti, emozioni ed eventi che hanno trasformato la vita della madre. Il libro – «Mia madre femminista. Voci da una rivoluzione che continua», edito da Il Poligrafo – è scritto a quattro mani da Marina Santini e Luciana Tavernini, ma vi confluiscono le esperienze di tante donne e qualche uomo che in testi brevi raccontano episodi, commentano foto inedite, rievocano scoperte, lotte e fatiche sempre partendo da sé. E ripercorrono cinquant’anni di storia italiana.
Essenziale è stata la supervisione di Silvia, la figlia 27enne di Luciana. Che racconta:
«Il libro l’ha corretto almeno tre volte. Faceva dei cerchiolini: mamma, meno palle ideologiche e più ciccia. E dire che a noi sembrava già di essere ben poco ideologiche! Comunque ne abbiamo sempre tenuto conto, e anche delle opinioni delle altre donne. Ognuna diceva la sua, per alcune non emergevano abbastanza i conflitti…»
Anche il rapporto madre-figlia appare pacificato, dopo gli sbuffi e le lamentele iniziali, soprattutto ripensando (ma forse il paragone è un po’ arbitrario) al bell’epistolario «Tra me e te» di Mariella Gramaglia & Maddalena Vianello, che squadernava contraddizioni e conflitti non facilmente risolvibili. Spiega ancora Luciana: «La narrazione vuole essere un suggerimento, non dare ricette. La madre avverte la difficoltà di parlare con la figlia e chiede aiuto all’amica che le propone la mediazione del libro-lettera. E lentamente la figlia comincia a dialogare con la madre, che a sua volta la lascia libera di confrontarsi con altre donne autorevoli…».
Se si supera l’apparente mancanza di sistematicità, si coglie l’atmosfera unica di quegli anni ’70, ’80, una sorprendente varietà di esperienze travolgenti, che si alimentavano di pensieri, emozioni, corpi, tutto intrecciato, giorni e notti, lavoro e vacanze…
Non c’è alcuna intenzione di «censire» un movimento che ha coinvolto milioni di donne, o di farne un monumento, chiariscono le autrici, che lavorano con la Comunità di storia vivente di Milano. C’è invece il desiderio di uno scambio fra generazioni, esplorando rapporti con altre e altri in un percorso che dalla metà degli anni ’60 ci accompagna fino ad oggi.
Un lungo cammino, sollecitato dalle domande delle allieve degli allievi dopo aver visto la mostra «Noi utopia delle donne di ieri memoria delle donne di domani. Quarant’anni di storia del movimento delle donne a Milano». Una partitura in quattro parti, dedicate alle parole, al corpo, ai luoghi e al lavoro.
Si comincia dalle «Parole per dirlo», come suggeriva il libro di Marie Cardinal, per liberare il linguaggio da incrostazioni soffocanti: erano i primi anni ’70, si diffondeva la pratica dell’autocoscienza e in molte abbandonavano i gruppi misti, mentre si buttano via i reggiseni e si organizzano le 150 ore per le casalinghe di Affori con lo slogan «più polvere in casa e meno nel cervello». In «Noi e il nostro corpo», un tema che tocca amore e sessualità, si attenua il timore di fraintendimenti nel dialogo madre-figlia: la memoria, che non diventa mai uno sterile «come eravamo», va ai tempi in cui si sperimentavano le autovisite con lo speculum di plastica e la contraccezione era roba da pioniere. Gli adulteri creavano ancora scandalo e contro l’aborto clandestino si firmavano le autodenunce, che Emma Bonino teneva chiuse nella cassaforte del Cisa. Nasceva a Roma nel 1976 il primo centro anti-violenza funzionante 24 ore su 24 ed emozionava il documentario su un processo per stupro mandato in onda dalla Rai nel 1979.
Ed ecco «Le tre ghinee», come s’intitolava il libro di Virginia Woolf che dimostrava la necessità dell’indipendenza economica, dell’istruzione e della creatività femminile: così battezzavano la loro libreria le Nemesiache di Napoli, che nel 1976 organizzarono la prima rassega europea di film di registe. Dall’amicizia femminile, dalle coabitazioni fra donne traeva alimento quella pratica del fare che si traduceva in centinaia di imprese. Case editrici come «La Tartaruga» creata nel 1975, mostre come «L’altra metà dell’avanguardia» ideata da Lea Vergine nel 1980. Tornano in mente «Quotidiano donna» (in edicola dal 1978 al 1981) e gli asili autogestiti, i festival di cinema musica teatro e la rete italiana delle librerie. E poi quel sentirsi al centro del mondo nei grandi cortei, a partire dalle 20.000 donne che sfilarono a Roma l’8 marzo del 1972.
«Cara mamma», è l’incipit dell’ultimo capitolo, «Immagina che il lavoro» dove la figlia prende la parola raccontando le sue scoperte durante una serata di discussioni dopo un incontro cittadino. Insieme al suo compagno, a un’amica cassiera, una mamma manager, una giovane sociologa e un sindacalista. Miscela esplosiva per un confronto sul tema del lavoro che c’è e non c’è, che può diventare part-time (ma non son solo rose e fiori), che si vorrebbe meno rigido e invasivo per poter dedicare più tempo e attenzione a se stesse e alle persone amate. In un continuo andirivieni fra passato e presente: c’è il ricordo di Marisa Bellisario, una delle prime manager che mise da parte i pregiudizi sperimentando il lavoro flessibile, accanto al racconto del disagio provato oggi da un uomo che rientrando dal suo congedo di paternità viene guardato dall’azienda quasi come un traditore. Nella grande varietà delle scelte possibili, anche quelle più estreme che sembrano far tornare indietro, come l’adesione alla «Lega del latte materno» dove le donne sottraggono la propria energia creativa e il proprio talento al mercato per fare le mamme a tempo pieno. Ricordando sempre che se si passa dal sogno dell’amore al sogno del successo si resta fregate un’altra volta. E che forse se non viene rotto quell’invisibile tetto di cristallo che impedisce l’ascesa ai luoghi di comando c’è qualcosa di più prezioso della carriera a cui le donne non vogliono rinunciare. Commento finale: cara mamma, ti sei accorta di come sono cambiata? Che ne dici? Sono forse diventata femminista?
Appuntamento sabato 26 settembre, alle ore 18, alla Libreria delle donne di via Pietro Calvi 29: Silvia Baratella discute del libro con le autrici. La domanda è:
un’esperienza che ha trasformato milioni di donne e non pochi uomini si può trasmettere?
Il libro verrà poi presentato a Padova, alla Fiera delle parole l’8 ottobre, e ancora a Milano per BookCity, il 24 ottobre.