di Bianca Bottero
2 aprile 2016. Spinta dall’entusiasmo di Laura Ming. vado alla Triennale; sono le 15,30, il sole implacabile del sud-ovest milanese entra dal grande arcone che accoglie il box esterno dei biglietti. Dopo una piccola coda entro nell’accogliente frescura del Palazzo, salgo al primo piano e percorro il discusso ponticello che travalica il grande vuoto dello scalone.
Lo ornano tremule ali bianche che ci introducono in un ambiente fantastico, meraviglioso: è la grande sala di apertura della esposizione di Women in Italian Designa cura di Silvana Annichiarico. Nella sala buia, a forma circolare –
grotta, rifugio, utero – galleggiano vassoi sui quali sono esposti
filamenti intrecciati, luminosi, tenuamente colorati in forme varie,
in preziosità delicate. Lungo le doppie pareti, in nicchie, i più stupendi, sapienti ricami, un trionfale Abito da sposa, il Mantello della Regina delle nevi, l’Arazzo blu, le sottili invenzioni di Maria Lai: il telaio, il libro cucito.
Le parole chiave, citate dalle curatrici: intrecciare, tramare, ricamare (Penelope insegna).
Abbandono con dispiacere la sala e proseguo per il corridoio arcuato, ben luminoso questo, con le finestre che, liberate dai soliti tendaggi, lasciano intravvedere la lussuosa vegetazione del parco. Alle finestre sono alternati arazzi o teli con grandi figure di sante protettrici, Dorotea, Brigida, Marta di Betania, Chiara, Anastasia, Cecilia, Apollonia, Caterina da Alessandria, tutte con in mano qualcosa alludente a un fare, a un mestiere di cui sono protettrici.
Gli oggetti disegnati da donne – dall’inizio del secolo scorso ad oggi – sono una quantità enorme. E si parte, saggiamente, dai piccoli pezzi di legno creati nel 1907 da Maria Montessori per far emergere nei bambini le capacità creative; e si prosegue con elementi di arredo, ceramiche, soprammobili, manifesti pubblicitari, libri educativi: L’arte delle piccole mani di Rosa Agazzi, la Scatola in legno di un bambino che gioca al calcio, di Emma Bonazzi, il Calendario Barilla e via via sempre più oggetti di uso quotidiano come lampade, sedie, poltrone, tavoli, lettini. Colpiscono i nomi: sono donne quasi tutte poco conosciute o, spesso, note perché sappiamo aver lavorato in studi resi prestigiosi da uomini: come Eugenia Alberti (Reggio), Franca Helg (Albini), Lisa Ponti (Giò Ponti). Anche qui, seppure meno spettacolarmente, la chiave di lettura è quella di una attenzione alla quotidianità, all’accoglienza, al prendersi cura. Spiccano per una particolare autonomia la poltrona di Cini Boeri, la lampada di Gae Aulenti, il mensolone nero lucente di Zaha Hadid.
Sulla parete bianca curva interna sono riportate le costellazioni: create da tutti i nomi, collegati tra loro da linee sottili per evidenziare i processi e le reciproche connessioni; e vedo con piacere indicata l’amica Ida Farè, della quale è pure ricordato l’impegno al Politecnico per un corso sull’abitare femminile e la partecipazione con Bianca Bottero e Anna Di Salvo alla cura del libro Architetture del desiderio, nato dal Convegno “Microarchitetture del quotidiano. Sapere femminile e cura della città” organizzato nel 2008 dalle Città vicine e dal Politecnico presso il Circolo della rosa di Milano.
Un’ultima sala, in omaggio non so quanto approfondito alle scienze cognitive, due ricerche sui cervelli maschile e femminile; la stanza grigia e buietta con grandi puff tondi di diverse altezze consente un meritato momento di meditazione.
Sono stanca ma molto incuriosita dalla mostra a piano terra Stanze. Altre filosofie dell’abitare, curata da Beppe Finessi, che presenta sette progetti di giovani, più due di “maestri”, tutti invitati a proporre una sorta di icona dell’abitare.
Dirò del primo, l’unico a firma femminile, di Elisabetta Terragni, non a caso il più lindo, onesto civile delle proposte giovani; e dell’ultimo, di Umberto Riva che, con l’assoluta precisione tecnica e figurativa che lo caratterizza, offre una lezione di stile ridisegnando e reinventando poeticamente il Cabanon di Le Corbusier, l’architetto simbolo di una Modernità che agli inizi del secolo scorso ancora scommetteva su una civiltà futura sobria e rispettosa della bellezza.
(www.libreriadelledonne.it, 11 aprile 2016)