di Monica Ricci Sargentini
«Cari compagni gay vi invitiamo a non festeggiare la cancellazione della madre». Inizia così un appello promosso dalla sociologa dell’Università di Milano, Daniela Danna, esponente della comunità Lgbt ma autrice di un libro sulla maternità surrogata dal titolo inequivocabile: «Contract children» . Cosa c’è che non va nella sentenza di Trento? «Le tre giudici hanno giustamente riconosciuto il secondo e il terzo genitore ma non dovevano cancellare la prima. La genitorialità che deriva dalla cura e dalla responsabilità esercitate sono una cosa, i certificati di nascita che non riportano nemmeno l’anonimato della madre sono un’altra, inaccettabile. Significano che quella donna non ha mai potuto avere una chance di continuare la sua relazione materna con il o i neonati. Le donne non sono macchine da gravidanza».
Nel nostro ordinamento la madre è colei che partorisce. Ma le giudici negano questo principio.
« Nel nostro ordinamento la madre è colei che partorisce. Ma le giudici negano questo principio. Appunto la cancellazione significa che la relazione materna non è più riconosciuta dalla legge italiana. Non possono esserci primi e secondi genitori senza una madre: saranno sempre i secondi e i terzi perché la gravidanza e la nascita sono già un rapporto intimo, stretto, imprescindibile nella riproduzione umana tra la futura bambina e sua madre. Se questa non vuole essere nominata, che rimanga anonima (per quanto si vada sempre più affermando un diritto a conoscere le proprie origini biologiche richiesto dai figli dei “donatori” così come dagli adottati) ma che non venga fatta sparire con un colpo della bacchetta “magica” della legge e dei giudici. Questa bacchetta magica non funziona, e l’origine materna di ognuno di noi rimane un fatto inevitabile».
Nella sentenza si parla di Gpa altruistica, lei da sociologa hai studiato a fondo il fenomeno. Esiste una maternità surrogata non commerciale?
« Ci sono Paesi come il Canada, l’Australia, la Gran Bretagna che chiamano “altruistica” la loro Gpa per fingere che sia un’alternativa alla “Gpa commerciale”. In entrambi i casi le donne vengono retribuite con un salario per la gravidanza, solo che là si chiama “rimborso spese”. Ovunque le donne dicono che lavorano e che sono professionali nel non affezionarsi ai figli e cederli ai committenti. Tutti sanno che non ci sono donne disponibili a fare una Gpa se non sono pagate, a nessuno dei partecipanti a questo gioco conviene confessarlo e quindi si parla di altruismo, quando invece una donna che non compare nemmeno sul certificato di nascita non ha avuto nemmeno una chance di essere effettivamente altruista, perché alla nascita i genitori erano già degli altri. Questo è aberrante».
C’è una narrazione che mira a “vendere” la Gpa come un atto di amore? I media la veicolano?
«Sì, ma l’amore non può essere pagato. Tutte queste donne, ripeto, sono retribuite. I media non fanno altro che camuffare l’introduzione di un nuovo mercato, con i bambini che diventano merci».
La comunità Lgbt appare divisa ma la sensazione è che le voci contrarie alla Gpa si levino con un certo timore anche a sinistra. Non c’è una sorta di sudditanza delle donne agli uomini?
«Mi stupirebbe il contrario, visto che viviamo in una società a misura di uomo. Ci sono anche i sensi di colpa per poter essere in grado di generare, mentre gli uomini non possono farlo. E’ ironico che quello che è stata la maledizione del sesso femminile ora diventi una facoltà così ambita».
Il 23 marzo ci sarà a Roma un incontro internazionale di Se non ora quando Libere per chiedere all’Onu la messa al bando della Gpa. Secondo lei è l’unica strada percorribile? O serve una legge che metta dei paletti?
«Sono d’accordo con la richiesta femminista a tutti gli Stati che hanno introdotto l’istituto giuridico della Gpa di cancellarlo. In California è stato presentato un ricorso alla Corte Suprema per inconstituzionalità fatto da una donna che il committente voleva costringere ad abortire (cioè a “ridurre selettivamente”) due dei quattro embrioni che avevano attecchito. Nessun paletto può funzionare perché il concetto è proprio quello che il suo nome dice: la gravidanza è “per altri”, non è quella della donna, la donna si aliena dal proprio corpo e dal rapporto con il nascituro, mentre l’autodeterminazione delle donne l’abbiamo richiesta per avere delle maternità responsabili grazie al diritto di abortire. Persino questo diritto diventa di pertinenza dei committenti, perché nella Gpa la gravidanza è appunto “per altri”».
(Corriere della Sera, 2 marzo 2017)