di Lia Cigarini
Devo partire da lontano per introdurre l’interessante e sollecitante, al presente , libro di Antoinette Fouque.
Il mio primo incontro con lei e il suo pensiero è avvenuto, infatti, nell’ottobre 1972 a Vieux-Villez, un villaggio della Normandia, a un raduno di donne organizzato dal gruppo “Psychanalyse et Politique”, vivo fin dal 1968.
Ero a quell’incontro perché attirata dai temi posti in discussione: la relazione con la madre, l’omosessualità primaria, la critica all’ideologia freudiana ma, contemporaneamente, la definizione della psicanalisi come arma rivoluzionaria.
Ero in analisi da cinque anni e, quindi, avevo un interesse enorme per la dimensione dell’inconscio. Partecipavo, poi, a un gruppo di autocoscienza a Milano che, come altri, aveva al centro dell’indagine la sessualità femminile e il rapporto con la madre. Tuttavia non avevo mai pensato che lo strumento analitico di conoscenza fosse prezioso per la pratica politica del movimento delle donne. E invece lì, a Vieux-Villez, ho capito la necessità dello strumento analitico (pur usato in modo sovversivo) per riscoprire il corpo e farlo parlare attraverso l’analisi minuziosa dei blocchi, delle censure, delle paralisi, e per tenere conto della posizione chiave del fallo nella sessualità.
Vivendo assieme in tante, per più giorni, fu possibile vivere e vedere uno spostamento d’amore verso le donne. L’imprevista decisione, durante il ’68 e dopo, di riunirci tra sole donne, poteva sembrare unicamente una geniale mossa politica per rendere visibile l’esistenza delle donne a chi da secoli l’aveva ignorata. All’incontro francese si è capito che qualcosa a livello del profondo si era mosso irreversibilmente e aveva determinato la separazione. C’è da aggiungere che l’emozione provata lì fu tanto forte da toccare l’inconscio. Una di noi imparò il francese in tre mesi (a me, monoglotta, sembrò un miracolo), mentre le parole e i sogni della mia analisi divennero altri e, mi pare, cambiarono anche l’ascolto e le parole del mio analista.
Naturalmente, vivendo insieme e non facendo solo riunioni di parola (penso anche ai successivi incontri di Evreux, Arcachon, Varigotti, Pinarella ecc., che costituirono poi la modalità di scambio tra donne), risultò chiaro che era necessario verificare e vivere le contraddizioni tra di noi. Mi ricordo ancora la sensazione di libertà che mi diede l’affermazione di Antoinette Fouque sull’idealismo della posizione femminista di volere a tutti i costi l’unità fra le donne.
L’incontro con Antoinette Fouque e le altre del gruppo francese ci liberò da molti tabù: quello dell’unità a tutti i costi, quello di considerare le donne tutte uguali e tutte misere, quello che ci impediva di criticare il femminismo ideologico, ecc.. Di questo diede immediatamente conto il primo numero di Sottosopra (1973), la rivista dei gruppi femministi edita a Milano. Ed è ben sintetizzato dalle parole di Silvia Motta lì riportate: «…e questo concentrarsi sul contenuto fondamentale dell’abbattimento dei tabù tra donne si esprime poi nel modo più facile che quelle donne hanno di muoversi, di parlare, di comunicare e soprattutto di prospettare una vita diversa, cosa che qui da noi non si fa quasi mai. Sono donne che danno la sensazione di poter progettare il mondo».
Per me in particolare fu preziosa l’indicazione che era indispensabile un lavoro politico a livello simbolico.
Già allora, quasi trent’anni fa, Antoinette Fouque diceva: «Nel momento stesso in cui ho tutte le ragioni per essere convinta che ci sono due sessi, e che nessuna misura di uguaglianza assorbe le differenze imparo del tutto ufficialmente che c’è solo una libido, è che è fallica […]. Ci sono dunque un solo linguaggio e due corpi sessuati diversamente che sono tutti e due preda di questo linguaggio».
Il pensiero e la pratica di Antoinette Fouque e del suo gruppo fu accolta e discussa soprattutto a Milano. Forse perché alcune di noi erano, appunto, in analisi e nel movimento, e perché l’autocoscienza non era stata solo racconto del vissuto ma anche l’esperienza di rapporti tra donne. O, forse, perché uno psicanalista-pensatore come Elvio Fachinelli ci aveva già da anni parlato e fatto conoscere il pensiero di Lacan; e autori come Derrida e Deleuze erano tradotti e discussi in piccoli gruppi politici. C’era, cioè, un contesto del tutto favorevole.
Si può dire, dunque, che la pratica di relazione tra donne (o pratica della differenza sessuale) abbia tratto linfa vitale dal pensiero di Antoinette Fouque e del suo gruppo. Va detto che, poi, il nostro processo di pensiero è stato originale e differenziato negli esiti, in particolare e proprio sulla differenza sessuale. Intorno al nostro essere donne/uomini, noi, come Antoinette Fouque, abbiamo riflettuto a partire dalla pratica di relazione donne con donna e come lei siamo arrivate alla conclusione che il nodo fondamentale è la relazione materna.
Ma noi non pensiamo all’esperienza di diventare madri, bensì alla dimensione, esistenziale e relazionale, di venire al mondo da una donna. Infatti dopo alcuni anni lo scambio politico con “Psychanalyse et Politique” si allentò per finire del tutto.
Riprende oggi con la mediazione di Silvina Boissonnas che, una sera di giugno dell’anno scorso, si è presentata al Circolo della Rosa di Milano con questo libro in mando, e di Lilli Rampello che decise subito di proporlo per la pubblicazione.
Ma veniamo al libro che è ben più interessante delle ragioni della mia personale riconoscenza e gratitudine nei confronti di Antoinette Fouque.
Per prima cosa vorrei dire che è scritto benissimo, in forma quasi sempre dialogica e ricorrendo a diversi registri discorsivi, dal pensiero ragionante al racconto. Antoinette Fouque interloquisce e discute ora con le donne in generale, ora con alcune, ora con la persona che l’intervista e ancora con il ricordo di sua madre. E, infine, con l’attrice Isabelle Huppert, uno scambio bellissimo.
È riuscito in sostanza ad Antoinette di salvare nel testo scritto
quello che c’è di prezioso nella comunicazione orale tipica del movimento delle donne e della psicanalisi. Il secondo testo del libro, intitolato: «Donne in movimenti: ieri, oggi, domani», è un esempio perfetto di narrazioni di fatti e idee del ’68 e della nascita del movimento delle donne a Parigi a partire da sé.
Sottolineo il valore che ha la narrazione soggettiva anche nei campi delle idee e dei concetti perché per me la vita è racconto e niente altro. Penso che per molte (io per esempio) e molti la narrazione sia ormai l’unica forma letteraria che rende affascinante un testo.
Del libro, ricchissimo di temi e problemi, vorrei mettere in rilievo tre punti che, a mio parere, sono di un tale spessore filosofico da poter rilanciare la discussione un po’ illanguidita in questo momento.
Il primo riguarda l’elaborazione del concetto di differenza sessuale a partire dalla dissimmetria dei due sessi quanto al lavoro della procreazione e all’esperienza della gestazione. Pensa, in sostanza, Antoinette Fouque, a una rifondazione del simbolico che si apre e si articola intorno al campo semantico della gestazione. Ella così scrive: «… la gestazione, concepimento spirituale e carnale dell’altro, […] la gestazione, attenzione vivente ed esperienza eteronoma che sa far posto in sé, al non sé, […] infine paradigma del ‘pensare il prossimo’, paradigma dell’etica e della democrazia». Con queste parole, ella sta prefigurando, a partire dal principio di realtà, che i sessi sono due, «un nuovo contratto umano tra le donne e gli uomini ma anche tra gli uni e gli altri». Gli stessi uomini tra loro avrebbero interesse a respingere la dittatura del fallo a livello simbolico. Ma se la gestazione è il paradigma del pensare l’altro (e quindi per Antoinette Fouque finalmente l’avvento dell’etica), il nuovo contratto umano dovrà includere anche «quei soggetti transitori che sono i bambini. Perché la produzione del vivente è tripartita; il due non deve escludere il terzo e l’umano adulto è nello stesso tempo il frutto della sua doppia origine eterosessuata, della sua doppia discendenza, e del bambino che lui/lei è stato».
Questo è un pensiero di Antoinette Fouque che ho scoperto ora e sul quale voglio riflettere con lei e altre. Riconosco, però, la sua antica idea della matrice (utero) come significante della sessualità femminile, non come significante unico, perché la donna è anche fallica, ma senza matrice non c’è donna.
Vi è inoltre, nel libro, una severa critica al diritto esistente. Antoinette propone la messa in discussione dei princìpi che lo fondano per «analizzarne le contraddizioni, le incoerenze, i dinieghi e le denegazioni». Tra le quali la denegazione della differenza sessuale. Ella, in sostanza, propone di sessuare il diritto soprattutto per quanto riguarda i diritti costituzionali e politici, affinché le donne conquistino veramente «il diritto al diritto». In passato ero d’accordo con questa posizione e ne ho anche scritto. Ora mi chiedo se i codici del diritto e quelli della politica non siano tra loro indipendenti o addirittura incompatibili. In tal caso si tratterà di sottrarre alla colonizzazione (sempre più invadente) del diritto tutto ciò che concerne il mondo vitale, il vivente. Resta che, come Antoinette, io leggo la differenziazione portata dalla lotta delle donne come un processo di autonomia dalle maglie di un diritto composto da norme provenienti da autorità centrali e amministrato da burocrazie.
Da quanto ho detto finora può sembrare che il libro sia soprattutto teorico. In realtà Antoinette Fouque interviene acutamente nel discorso politico, alla ricerca di una mediazione alta tra differenza e uguaglianza. Partendo dall’assunto che la differenza senza l’uguaglianza non può produrre altro che regressione psichica, ma l’uguaglianza senza la differenza non produce che un’assimilazione sterilizzante, un’amputazione psicofisica, propone di andare al di là del paradigma dell’uguaglianza astratto e neutro. Il quale finisce con l’uniformare e assimilare all’Uno tutto ciò che è sessuato. Per questa via, sostiene Antoinette, «se oggi un cittadino su due è una cittadina, domani nelle nostre democrazie, une, indivisibili, universali, due cittadini su due saranno cittadini».
È necessario, quindi, lavorare politicamente per la differenza sessuale e a partire da qui Antoinette propone il concetto di “parità qualitativa”, parità che possa aprirsi alla logica del due, permettendo ai due sessi l’elaborazione di una politica eterosessuata. Ciò, evidentemente, non ha nulla a che fare con progetti femminili/femministi che tendono a inserire le donne nell’attuale sistema «dell’Uno neutro genderizzato (maschile e femminile)» attraverso una parità quantitativa (di quote).
Resta aperto il problema di inventare la pratica politica corrispondente alla mediazione alta fra il lavoro politico della differenza e la partecipazione alla politica istituzionale. A questo proposito mette in guardia giustamente Antoinette Fouque: «la vera posta in gioco della parità, oggi, è dunque sapere se la passione dell’Uno la pervertirà in Tutto-Uno, […] se sarà utilizzata come un’inclusione delle sorelle, accanto ai fratelli, nella Repubblica dei figli, senza cambiamento di struttura, o se essa va al di là degli ‘ismi’: socialismo, femminismo, universalismo e altro vecchiume… ».
La pubblicazione di questo libro in Italia è destinata ad attivare uno scambio e, forse, un conflitto positivo su terreni molto avanzati, come la filosofia della differenza, i rapporti tra diritto, etica e politica. E lo fa non con la pedanteria con cui molto spesso su questi temi, ma con la vivezza dialogica e la forza del linguaggio che ha caratterizzato la migliore ricerca femminile.
Lia Cigarini