(NdR: in cauda venenum)
23 Settembre 2016
Corriere della Sera

Evviva siamo diventate di moda


Gli uomini non sanno più come risolvere i guai di questo mondo. Il nostro sarà il secolo del sorpasso. Le donne cambieranno metodo e (forse) ci salveranno.
di Aldo Cazzullo

Le donne conquisteranno il mondo e lo salveranno. Le donne erediteranno la terra. Questo sarà il loro secolo: il secolo del sorpasso della femmina sul maschio. È vicino il giorno in cui sarà del tutto normale che un capo di stato o di governo, l’amministratore di un’azienda o di una banca, il direttore di un giornale o di un ospedale sia una donna. E non sarà soltanto un cambio di genere; sarà un modo diverso di fare le cose.

Tante speranze nel mondo moderno sono tramontate: gli Stati Uniti d’Europa; la pace e l’amicizia tra i popoli; la coesistenza tra le religioni; l’illusione che il progresso sarebbe durato all’infinito, che la tecnologia avrebbe sempre creato ricchezza e lavoro, che la terra e l’uomo fossero immortali. Una sola, tra le conquiste degli ultimi decenni, ha messo radici: la rivoluzione delle donne. Per questo è fondamentale difendere i diritti e le libertà che le donne hanno conquistato, e conquisteranno nei prossimi anni: dal mondo islamico alla Cina, dall’Africa all’India. Dirlo non è da “maschio femminista”, espressione infelice; è da persona obiettiva. In molti paesi la rivoluzione è un fatto compiuto. I due leader europei più importanti degli ultimi decenni, Margaret Thatcher e Angela Merkel, sono donne; Londra nell’ora più difficile si affida a Theresa May; e Hillary Clinton è la prima donna ad affacciarsi sulla soglia della Casa Bianca. (Persino l’arrembante destra populista si affida alle donne: Marine e Marion Le Pen in Francia, Frauke Petry in Germania, Beata Szydlo premier in Polonia). L’Italia è più indietro. Certo, le donne fanno le astronaute, come Samantha Cristoforetti, e dirigono il Cern di Ginevra, come Fabiola Gianotti. Sono donne il sindaco della capitale, il presidente della Camera, il numero 2 del governo, i direttori delle principali carceri, gli amministratori o i presidenti di grandi case editrici: tutti sostantivi che dovremmo abituarci a declinare al femminile. Ma non basta. Le ingiustizie e i pregiudizi non sono finiti. E questo spesso genera tra le italiane scetticismo, sfiducia, frustrazione.

Quando dico in pubblico che il futuro appartiene alle donne, gli uomini annuiscono: alcuni angosciati o ancora speranzosi di allontanare quel doloroso momento; altri sollevati al pensiero di lasciare fatiche e responsabilità in mani migliori. Le donne invece sono spesso scettiche. Considerano che il loro tempo non sia ancora venuto, che il loro secolo non sia ancora cominciato. La presa del potere appareremota e in fondo neppure troppo desiderabile.

Il soffitto di vetro. Questo dipende dal fatto che l’Italia è un Paese profondamente maschilista. E sono le madri a insegnare il maschilismo ai figli. Ma pensiamo piuttosto ai giganteschi passi in avanti che le donne italiane hanno compiuto in pochi anni.
Ancora nel 1975 picchiare la moglie non era reato: la legge riconosceva la potestà maritale, e la Cassazione stabilì che poteva essere esercitata anche con «mezzi coercitivi»; le botte, appunto. I “femminicidi”, come si chiamano ora, c’erano già, ma non facevano notizia: esisteva il “delitto d’onore”; chi tornava a casa, trovava la moglie con un altro e la ammazzava, a volte non finiva neanche in galera. Ne fecero anche un film: il Divorzio all’italiana era appunto l’uxoricidio. L’adulterio femminile era reato; quello maschile no. (Ancora nel febbraio 2012, quando due quindicenni sono stati sorpresi a far l’amore nel bagno di una scuola a Bassano del Grappa, lei ha avuto quattro giorni di sospensione; lui soltanto uno).
La prima donna ministro fu Tina Anselmi nel 1976: per oltre trent’anni la democrazia italiana aveva dimenticato metà del Paese. Poi alle donne vennero riservati i ministeri – Sanità e Pubblica Istruzione – che corrispondevano ai lavori considerati di loro pertinenza: infermiera e maestra, l’ospedale e la scuola. Abbiamo dovuto attendere il 1998 per avere una donna ministro dell’Interno, il 2013 per avere una donna ministro della Difesa; non abbiamo ancora avuto una donna presidente del Consiglio o presidente della Repubblica. Anche nelle aziende le signore vedono sopra di loro il celebre soffitto di vetro: l’ultimo piano, il gradino finale della scala, il potere è lì, in vista, a un passo; ma viene loro sottratto. Ancora per poco, però.
Non è solo per la genialità che le donne erediteranno la terra. O forse è per la loro particolare forma di genialità: la più adatta ai tempi.
Le donne erediteranno la terra perché sono le più attrezzate a prevenire i grandi rischi e a cogliere le grandi opportunità che abbiamo di fronte.
Perché sanno preservare; e la terra deve essere preservata. Le donne non guardano soltanto all’oggi ma al domani, hanno a cuore il futuro, i figli, i nipoti e il mondo che li attende. Evitano lo spreco, sono più disponibili a battersi per l’ambiente e le energie pulite; perché hanno compreso che la terra non è immortale, e tocca a noi prendercene cura.
Perché le donne, con la loro intelligenza duttile, riusciranno me glio a padroneggiare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Di solito si pensa che le studentesse siano più portate per le discipline umanistiche. Non è così, come dimostra la loro crescita nelle discipline scientifiche: fisica, chimica, ingegneria. Sono materie in cui il metodo, la costanza, la razionalità, la serietà di fondo hanno bisogno di essere arricchite dall’intuizione, dall’estro, dal talento, dal senso estetico. E anche dalla sensibilità necessaria ad affrontare l’evoluzione che ci porterà al mondo “post-umano”: dominato dall’intelligenza collettiva del computer e della rete, con possibilità vertiginose di comunicazione ma anche di manipolazione della vita, della verità, del patrimonio genetico, della coscienza. Insomma, l’informatico e l’ingegnere sono mestieri troppo delicati per essere lasciati solo agli uomini.
Le donne erediteranno la terra perché sono determinate, e non arroganti; o comunque lo sono meno degli uomini, perché sanno dissimulare l’arroganza con l’ironia.
Perché hanno una grande capacità di concentrazione, anche su fronti diversi. Fin dal Pleistocene sono accreditate della capacità di fare più cose contemporaneamente; non a caso – dalle caverne al tempio – è la donna incaricata di tenere acceso il fuoco; infatti riesce ad alimentare la fiamma mentre fa altro.

La difficoltà a essere solidali tra loro. Perché ha capito che la maternità non è un dovere, né un ostacolo, ma un punto di forza: una madre è una donna più consapevole del proprio enorme potere, dare la vita; e si possono lasciare frutti di sé anche senza diventare madri.
Ma perché le donne per secoli – con le dovute eccezioni – sono rimaste sottomesse agli uomini? Perché gli uomini hanno esercitato la propria egemonia; e per essere libere le donne dovevano diventare uomini, o almeno sembrarlo. Migliaia di ragazze hanno dovuto vestirsi da uomo per avere una vita; e per essersi vestita da uomo fu arsa viva Giovanna d’Arco. Altre volte le donne si sono fatte del male da sole, per l’incapacità di essere
solidali tra loro.
Non esiste maschilista più radicale di una donna maschilista. E non c’è niente di più facile che mettere le donne una contro l’altra.

Gli uomini lo sanno ed esercitano quest’arte da millenni. Negli spogliatoi o nei bar ci si dice che la conquista più facile è la migliore amica della
fidanzata; ma forse sono soltanto vanterie maschili. Di sicuro le donne tendono a perdonare l’amante infedele, mai però la rivale; anche se è stato lui, non lei, a violare il patto d’amore.
Sul lavoro, o in politica, spesso funziona allo stesso modo. Invece ci vorrebbe uno spirito di squadra, una vera solidarietà femminile, per far crollare l’ultimo diaframma che separa le donne dalla meritata conquista del potere.

L’importanza di non cedere all’invidia. Non è popolare dirlo: ma se l’uomo ha potuto soggiogare la donna per millenni, è anche a causa di un certo maschilismo femminile. Che a volte può arrivare ai confini del masochismo.
Ho seguito le vittorie di Valentina Vezzali, la più grande atleta italiana di tutti i tempi: sei ori olimpici, portabandiera a Londra 2012. La simpatia non è la sua principale qualità; ma del resto un campione non deve essere simpatico, è un falco da preda, un cavallo di razza, deve essere capace di concentrazione e cattiveria agonistica; come Federica Pellegrini, portabandiera a Rio 2016, altra grande campionessa sovente vittima del web.
Ma la Pellegrini è una diva. La Vezzali è una persona semplice, di grande forza interiore, che ha deciso di fare qualcosa per il suo Paese candidandosi in Parlamento. Quando si è parlato di nominarla ministro dello sport, la capitana della nazionale di calcio Patrizia Panico ha incredibilmente lanciato una petizione contro di lei. In pochi giorni, 25 mila adesioni: tra cui tantissime donne.
Perché? Come si fa a essere contro Valentina Vezzali? Quando ho rivolto questa domanda alle lettrici, ho ricevuto risposte diverse. Qualcuna sostiene che non ha competenze per fare il ministro; ma se il criterio fosse quello, bisognerebbe lanciare moltissime petizioni. Altre firmatarie sono state sincere e hanno ammesso di essere gelose della Vezzali: «Ha una famiglia, dei figli, tanti soldi, tante medaglie, è già in Parlamento; e ora vuol fare pure la ministra?». Un medico mi ha raccontato di sua madre, dei sacrifici enormi che ha sopportato per far studiare lui e i suoi fratelli, senza che nessuno oggi ne conosca il nome; «lei è per me un’eroina, altro che la Vezzali» .
In effetti è inevitabile che ci siano personaggi pubblici – destinati a fare notizia – e storie private, condannate a restare tali (con qualche eccezione, grazie ai lettori che hanno scritto le storie della donna della loro vita: le trovate in fondo al libro). Però la notorietà non è la misura della realizzazione e neppure del successo di una persona. Se una persona per realizzarsi dovesse diventare famosa, il mondo sarebbe un posto ancora più brutto di quello che è. Esiste soddisfazione più grande che fare bene il proprio lavoro? Essere un bravo insegnante, un bravo artigiano, un bravo medico? Crescere e far studiare i propri figli non è certo meno importante che vincere medaglie olimpiche.
Ma perché essere ostili verso chi ha cresciuto i figli e ha vinto le medaglie olimpiche? Cosa può essere più bello del ricordo di una madre fatto vivere nel tempo attraverso le generazioni? Perché non riusciamo a pensarci come una comunità cui ognuno contribuisce in base al proprio talento e al proprio lavoro?
Come non vedere che la nostra vita viene arricchita da artisti da romanzieri, da musicisti, anche dai campioni dello sport, se accendono una passione, se danno un esempio? Non è meglio ammirare ed emulare il talento altrui – a maggior ragione quello di una donna –, piuttosto che invidiarlo e denigrarlo? Cerchiamo semmai di smascherare gli imbroglioni, di distinguere i veri talenti dai millantatori e dai cialtroni; che in ogni campo non mancano (ma sono quasi sempre uomini).

(Corriere della Sera, 23 settembre 2016)

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